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PALINODIA. 113 Preme il fragil morlale, a perir fallo Irreparabilmente: indi una forza Ostil, distruggitrice, e dentro il fere E di fuor da ogni lato, assidua, intenta Dal di che nasce ; e 1’ affatica e stanca, Essa indefatigata; insin ch’ei giace AlQn dall’ empia madre oppresso e spento. Queste, o spirto gentil, miserie estreme Dello stato mortai; vecchiezza e morte, Ch’ han principio d’ allor che il labbro infante Preme il tenero sen che vita instilla; Emendar, mi cred’io, non può la lieta Nonadecima elà più che potesse La decima o la nona, e non potranno Più di questa giammai l’elà future. Però, se nominar lice talvolta Con proprio nome il ver, non altro in somma Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo, E non pur ne’ civili ordini e modi, Ma della vita in tutte 1’altre parti, Per essenza insanabile, e per legge Universal che terra e cielo abbraccia, Ogni nato sarà. Ma novo e quasi Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi Spirti del secol mio: che, non polendo Felice in terra far persona alcuna, L’ uomo obbliando, a ricercar si diero Una comun felicitade; e quella Trovata agevolmente, essi di molti Tristi e miseri tutti, un popol fanno Lieto e felice; e lai porlento, ancora Da pamphlels, da riviste e da gazzette Non dichiaralo, il civil gregge ammira. Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume Dell’ elà eh’ or si volge! E che sicuro Filosofar, che sapienza, o Gino, In più sublimi ancora e più riposti Subbielli insegna ai secoli futuri tO’