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ASPASIA. Non punto inerme a viva forza impresse Il tuo braccio lo strai, che poscia fitto Ululando portai finch’ a quel giorno Si fu due volte ricondotto il sole. Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà. Simile effetto Fan la bellezza e i musicali accordi, Ch’ alto mistero d’ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Vagheggia Il piagato mortai quindi la figlia Della sna mente, 1' amorosa idea, Che gran parte d’ Olimpo in se racchiude, Tutta al volto ai costumi alla favella Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non già, ma quella, ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin P errore e gli scambiati oggetti Conoscendo, s’ adira; e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa, Nè comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera 1’ uomo ingannalo, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti, e molto Più che virili, in chi dell’ uomo al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve. Nè tu finor giammai quel che tu stessa Inspirasti alcun tempo al mio pensiero, Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai Che smisurato amor, che affanni intensi, Che indicibili moti e che deliri Movesti in me; nè verrà tempo alcuno