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AMORE E MORTE. L’uom della villa, ignaro D’ogni virtù che da saper deriva, Fin la donzella timidetla e schiva, Che già di morie al nome Senti rizzar le chiome, Osa alla tomba, alle funeree bende Fermar lo sguardo di costanza pieno, Osa ferro e veleno Meditar lungamente, E nell’indotta menle La gentilezza del morir comprende. Tanto alla morte inclina D’amor la disciplina. Anco sovente, A tal venuto il gran travaglio interno Che sostener noi può forza mortale, 0 cede il corpo frale Ai terribili moti, e in questa forma Pel fraterno poter Morte prevale; O cosi sprona Amor là nel profondo, Che da se stessi il villanello ignaro, La tenera donzella Con la man violenta Pongon le membra giovanili in terra. Ride ai lor casi il mondo, A cui pace e vecchiezza il ciel consenta. Ai fervidi, ai felici, Agli animosi ingegni L’uno o l’altro di voi conceda il fato, Dolci signori, amici All’umana famiglia, Al cui poter nessun poter somiglia Nell’immenso universo, e non l’avanza, Se non quella del fato, altra possanza. E tu, cui già dal cominciar degli anni Sempre onorata invoco, Bella Morte, pietosa Tu sola al mondo dei terreni affanni, Se celerbata mai