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LE RICORDANZE* M’ era, parlando, il mio possente errore Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, Al chiaror delle nevi, intorno a queste Ampie finestre sibilando il vento, Rimbombare i sollazzi e le festose Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno Mistero delle cose a noi si mostra Pien di dolcezza; indelibata, intera Il garzoncel, come inesperto amante, La sua vita ingannevole vagheggia, E celeste beltà fìngendo ammira. O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! sempre, parlando, Ritorno a voi; che per andar di tempo, Per variar d’ affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e 1’ onor ; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto, Inutile miseria. E sebben vóti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Il mio stato mortai, poco mi toglie La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo; Indi riguardo il viver mio si vile E si dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m’avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch’ai tutto Consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte Sarammi allato, e sarà giunto il fine Della sventura mia; quando la terra Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Fuggirà l’avvenir; di voi per certo Risovverrammi; e quell’imago ancora Sospirar mi farà, farammi acerbo L’ esser vissuto indarno, e la dolcezza Del di fatai tempererà d’ affanno.