sempre) più che primi e più che principalissimi tra le creature terrestri; ciascheduno di noi, se ben fosse un vestito di cenci e che non avesse un cantuccio di pan duro da rodere, si è tenuto per certo di essere uno imperatore; non mica di Costantinopoli o di Germania, ovvero della metà della Terra, come erano gl’imperatori romani; ma un imperatore dell’universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, di vostra signoria illustrissima, e di tutte le cose. Ma ora se noi vogliamo che la Terra si parta da quel suo luogo di mezzo; se facciamo che ella corra, che ella si voltoli, che ella si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, nè più nè meno, che si è fatto di qui addietro dagli altri globi; in fine, che ella divenga del numero dei pianeti; questo porterà seco che sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar l’impero; restandosene però tuttavia co’ loro cenci, e colle loro miserie, che non sono poche.
- Sole
- Che vuol conchiudere in somma con cotesto discorso il mio don Niccola? Forse ha scrupolo di coscienza, che il fatto non sia un crimenlese?
- Copernico
- No, illustrissimo; perchè nè i codici, nè il digesto, nè i libri che trattano del diritto pubblico, nè del diritto dell’Imperio, nè di quel delle genti, o di quello della natura, non fanno menzione di questo crimenlese, che io mi ricordi. Ma voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà così semplicemente materiale, come pare a prima vista che debba essere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica solamente: perchè esso sconvolgerà i gradi delle dignità delle cose; e l’ordine degli enti; scambierà i fini delle creature; e per tanto farà un grandissimo rivolgimento anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla