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ANNO 1820 - LETTERE 240-249 sfogo a tutto ciò che è convenienza, voglio ciarlo un poco al mio cuore c scrivendo a voi, mio caro Giacomo, rallegrarmi. Si, mi rallegro allorché mi trattengo con un’anima sensibile come la vostra, e con una persona che sente la dolce attrattiva dell’amicizia. Sebbene io non vi ho scritto da qualche tempo, pure non ho mancato di chieder sempre le vostre notizie, e d’interessarmi ben di cuore della vostra persona. Ho inteso con mio gran piacere che siete da qualche tempo un poco più sollevato, che sortite un poco di casa, che scuotete im poco quella lagrimevole malinconia che vi opprimeva. Quanto il mio cuore ne sia stato consolato non so dirvelo; parevami che anche a me si comunicasse parte di quel poco di sollievo che voi ne provate, e in certo modo nella mia solitudine godevo di farvi compagnia, venendo con voi e accompagnandovi fuori di casa, come se personalmente fossi con voi. Ciò spero produrrà del vantaggio anche alla vostra salute, la quale verrà meno a soffrire con il divagamento della vostra mente. Vorrei potermi assicurare però che non voleste da voi stesso tormentarvi, e che procuraste dal canto vostro di non rendervi infelice. Caro Giacomo, io mi dolgo di non avere ingegno a sufficienza per adeguatamente risponderò alla vostra lettera ed alle filosofiche vostre riflessioni; 1 io non saprei risponderci per persuadervi, ma non sono persuasa da ciò elio voi mi dite. Io tengo un principio, che la Provvidenza, la quale regola tutte le cose, non può averci fatto che por la felicità; quindi i mozzi per giugnere ad essa non possono avere che de’ principii veri e reali, e l’illusione non può essere che in quello cose che da questa felicità ci allontanano. Dacché l’Eterna Verità ha parlato e ci ha insegnata una strada che alla vera felicità ci conduce, non posso a meno di credere che se siamo infelici, è perché ci allontaniamo da questa verità. Quindi amerei meglio che si studiasse da noi il modo di uniformare alla verità li nostri sentimenti, che di angustiarci con tante ricerche. Caro amico, credetemi, siamo infelici molte volte, perché non sappiamo risolverci ad abbandonare qualche sentimento cho ci rende infelici; ma l’uomo virtuoso non può essere infelice; l’Uomo Cristiano dee essere felice, perché fonda la sua felicità sulle parole della Verità Eterna.... Giacomo mio, io rido con me stessa perché mi pongo a trattar di certa materia che non ò da me; ma voi mi siete tanto a cuore che per non sentirvi infelice divengo filosofo, teologo e tuttociò che a questo scopo può bisognare. Basta, quello che non fo io, farà Colui che ci ha creati por esser felici, e vuole che tutti lo siamo. Intanto, mio caro amico, non vi scordate di me, che ho per voi tutta la possibile tenerezza. Salutate la mia cara Mamma, li vostri Genitori, Fratelli e ciascuno di casa. Gradite li saluti di mio Marito, Figlia e Figlio Peppe. Amatemi e credetemi vostra affezionatissima Zia. 249. A Pietro Brighenti. - Bologna.2 Re canati 4 Febbraio 1820. Stimatissimo Signore. Sino dall’Ottobre p. p. credendo più sicura un’occasione a mano, che la posta, consegnai una lettera 3 1 Giacomo nella sua lettera doveva fare riflessioni assai pessimistiche; alle quali la buona zia cerca di opporre il balsamo della sua profonda fede religiosa e del suo affetto. 2 Pubblicata da E. Costa in Le Campatie. ll’Italia (Parma, Battei, n.° 24 dei 12 giugno 1887). 3 Manca: dev’essere andata perduta.