Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/8


introduzione ix

mediocremente compiacersi, e, chi sa?, fin d’allora pensasse all’eventualità che potessero un giorno divenire di pubblica ragione.

S’intende che questo costume seguito da Giacomo, il quale se è fuori dell’ordinario non è per ciò meno certo,1 si riferisce soltanto alle prime lettere ch’egli scrisse da Recanati al Giordani e a qualche altro illustre personaggio, e finché poté avere l’aiuto affettuoso della sorella e del fratello Carlo. Poi, quando questo aiuto cominciò a scarseggiargli o a mancargli, s’indusse di molte lettere a far le minute per conservarle; e quando fu uscito da Recanati, e anche quando più tardi vi fece qualche ritorno e qualche precaria dimora, non pensò più a conservare in copie apografe o in minute autografe le lettere che inviava a’suoi corrispondenti, le quali in buona parte finirono coll’andare sparpagliate o distrutte; e solo rimasero conservate in casa quelle dirette a’ suoi familiari. Ma anche parecchi di questi ultimi preziosi autografi disgraziatamente uscirono dall’archivio domestico; e cioè tutti quelli che in varie occasioni la buona ed ingenua Paolina e Pierfrancesco si fecero uscir di mano, sollecitati dalle insistenze e lusinghe degli amatori d’autografi, parenti, amici, letterati più o meno illustri e pseudoletterati, incettatori e trafficanti;2 ai quali si aggiunsero gli autografi delle lettere al fratello Carlo, che furono da questo come cosa di sua pertinenza portati via da casa quando ne uscí definitivamente in séguito al suo matrimonio con la cugina Mazzagalli.3 Ma di quale vantaggio fu per l’Epistolario leopardiano,

  1. Una singolare conferma di esso si ha nella lett. 88 di questa edizione, nota ultima.
  2. A donare qualche autografo di lettera cominciò lo stesso Monaldo, e continuarono tutti i suoi successori fino ai viventi. Ma è sorprendente la facilità onde in ispecie Paolina si lasciava persuadere, e talvolta raggirare, a cedere gli autografi del suo grande fratello. Cosí un numero considerevole di quelli autografi emigrò por ignoti lidi; e alcuni finirono col comparire in vendita nelle aste pubbliche e nei cataloghi de’ librai-antiquari. Al posto degli autografi, o fu lasciato talvolta un più o mono corretto apografo, o piú spesso la semplice annotazione, su pezzi di carta, della persona cui l’autografo era stato donato. Da siffatte indicazioni risulta che gli autografi donati furono un’ottantina.
  3. Buona parte di queste ultime lettere, rimaste poi in mano della seconda moglie di Carlo, la vedova Teja, furono da lei affidate ad Alessandro Avòli, che da ultimo ne fece dono al Collegio Massimo di Roma.