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1. | Al padre conte Monaldo Leopardi. — Recanati.1 |
[Recanati] Di casa ai 24 Decembre 1810.
Carissimo e stimatissimo signor Padre. Il ritrovarmi in quest’anno colle mani vuote non m’impedisce di venire a testificarle la mia gratitudine augurandogli ogni bene dal Cielo nelle prossime festive ricorrenze. Certo che ella saprà compatirmi per la mia sven-
- ↑ Dall’autografo conservato in casa Leopardi. — Monaldo Leopardi (1776-1847) è uno dei più notevoli personaggi che figurano nell’Epistolario leopardiano, non solo perché fu il padre del grande Scrittore, ma anche per la singolarità del suo carattere e del suo ingegno. Nato in Recanati dal conte Giacomo, uomo cólto e amante degli studi, che morí ancor giovane, e da Virginia Mosca di Pesaro, fu educato alle idee proprie di tutti quei nobili provinciali, contrarii alla Rivoluzione francese, e devoti al trono e all’altare, le due cose che in quella regione si assommavano nella sacra persona del Pontefice. Si aggiunga la circostanza ch’egli, giovanissimo e primogenito, per l’immatura morte del padre venne improvvisamente a trovarsi a capo della famiglia; e troppo fidando nella quadratura della sua testa, volle far tutto da sé, e commise molti errori, dei quali ebbe poi lungamente a subire le conseguenze; quando cioè, ammogliatosi con Adelaide dei marchesi Antici, dové cedere a questa donna di ferro la domestica amministrazione, e anche buona parte della sua autorità, per vedersi sollevato dalle terribili angustie del suo dissestato patrimonio, e dalle molestie incalzanti dei creditori usurai. E sebbene avesse dovuto mordere spesso il freno sotto l’inflessibile regime di economia instaurato dalla moglie, non ebbe a pentirsi di averle ceduto, in vista degli ottimi effetti che, dopo circa quaranta anni, da quel regime derivarono. Cosí egli potè soddisfare la sua brama di apprendere, direttamente dai libri, dei quali era appassionatissimo; poté fondare e ampliare via via una cospicua biblioteca, da servire a sé, ai figli, agli amici, ai concittadini; e con scritti di varia natura accarezzare la speranza di farsi un nome illustre. Cominciò con tragedie e commedie, che furon di modello ai figli, e specialmente al primogenito, del quale Monaldo indovinò primo l’altissimo ingegno, e dei cui studi si prese, insieme col cognato Carlo Antici, cura costante e affettuosa; seguendo giorno per giorno le occupazioni, le inclinazioni, le predilezioni del figlio, e agevolandolo con ogni sorta di aiuti e incoraggiamenti. L’affetto smisurato di Monaldo per Giacomo lo fece sempre restío a separarsi dal figlio, ch’egli teneva come un amico e un compagno di studi. E solo verso la fine del ’22 cedette alle insistenti premure del cognato Antici, che condusse con sé Giacomo a Roma e lo tenne in sua casa circa cinque mesi. Ma frattanto le idee del padre e del figlio, che pure avevan grandi somiglianze nel carattere e nell’ingegno, eran venute gradatamente divergendo, specie nel campo religioso e nel politico. Svanita la vocazione di Giacomo allo stato ecclesiastico, e uscito questi ormai definitivamente dalla casa paterna, non potè aver più, dai frequenti contatti col padre, troppa unione di spirito con lui; ma non cessò mai dall’amarlo con