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ANNO 1819 • LETTERE 189-1U2 205 Io vo sempre parlando di voi, come eli cosa amatissima e rarissima. Il conte Leonardo Trissino (ben l’imaginavo) non ha avuto le vostre canzoni: tentate dunque di mandargliene un’altra copia: perch’io vorrei pure ch’egli e i buoni ingegni di questa citlà vedessero e sapessero quale e quanto miracolo è il mio Oiacomino. Poiché sto qui un pezzo, spero che mi scriverete. Credo impossibile che usciate mai di Recanati, se non per l’Accademia ecclesiastica di Roma; la quale nii sembra la cosa la meno impossibile di persuadere a vostro padre. Quello che importa è l’uscire.1 Dopo questo primo passo gli altri sarebbero tanto pili agevoli. A questo porrei ogni cura; se pure è al mondo alcuno che possa, con ragioni o con preghi, ottenere qualche cosa da vostro padre. Perché trovar fuori di paese di botto un impiego che dia abbastanza da vivere, in questo mondo e in questi tempi è più che impossibilissimo. Credete voi che io, che ho già vissuto degli anni, e sono conosciuto da molti, o in molti luoghi, se io domandassi non qualche grande o mezzana cosa, ma solo d’esser preso per pedagogo di un cane, vi giuro per il paradiso e per l’inferno, che noi potrei mai ottenere. Credete che questo mondo è una maledetta cosa. E io vedo che avete pur bisogno di campo, e di luce: niente altro vi manca per esser sommo ed immortale. Io vo gridando di voi dolentemente come di un miracolo infelice: ma che giova? Abbracciate carissimamente Carlo: salutate Paolina: e vogliatemi bene. Parlerò di voi con Canova: e tenterò se egli che ha più mezzi d’ogni nitro uomo al mondo, ed è il miglior cuore di tutti i viventi, possa far nulla di vostro beile. V’abbraccio con tutta l’anima, e vi amo quanlo non so esprimere. Addio. 192. A Pietro Giordani. - Vicenza.2 Recanati 26 Aprile 1819. Mio dolcissimo. Viene a consolarmi la tua dei 20 3 dopo l’altra dei 10, alla quale risposi costà il 19. 0 mio caro, sei pur sempre quell’uomo imparagonabile e unico, quali io mi figurava tutti gli uomini qualche anno addietro; ora appena mi par credibile che veramente uno se ne ritrovi. Ma quanto a me non ti dare altro pensiero che d’amarmi, giacché in questo è collocata la mia consolazione, e nella speranza della morte che mi pare la sola uscita di questa miseria. Perché, eccetto queste, io non trovo cosa desiderabile in questa vita, se non i diletti del cuore, e la contemplazione della bellezza, la quale m’è negata affatto in questa misera condizione. Oltre che i libri, e particolarmente i vostri, mi scorano insegnandomi che la bellezza appena è mai che si trovi insieme colla virtù, non ostante che sembri compagna e sorella.1 Il che mi fa spasimare e disperare. 1 Bada a queste parole del Giordani; le quali, prese da G. in un senso troppo assoluto, senza tener conto del periodo precedente, e quindi oltre l’intenzione dell’amico, poterono tra breve confermarlo nel proposito e nel disegno di fuggire dalla casa paterna. 2 Dalla copia di Paolina, corretta da G., in casa Leopardi. 3 È la precedente, a cui questa risponde. 4 Cfr. Ultimo canto di Saffo, e quelli tra i pensieri dello Zibaldone che lo illustrano; specialmente I, p. 321; II, pp. 148-49; III, pp. 314-15.