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ANNO 1819 - LETTERE 180-181

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quelli dell’Arno, del Tevere e del Garigliano. La pace, la sicurezza dei giudizi, i buoni ordini di Polizia sono quei maggiori beni che si vogliono dagli uomini riuniti in società. E tutti sanno, che quei tempi di cui richiamate la gloria, quei tempi in cui scrivevano Dante, e Petrarca, e poi Macchiavello, Ariosto e Tasso, quei tempi in cui fiorivano i Buonarroti ed i Raffaelli ed armeggiavano i Trivulzi ed i Castrucci, l’Italia era in preda ai Bianchi ed ai Neri, ai Guelfi o Ghibellini, agli Eccelini, agli Oliverotti, ai Valentini, ed a tanti altri simili mostri che colle armi loro ed altrui facevano di questa Italia un soggiorno infernale. Vi esterno dunque il mio cordiale e ponderato voto, che voi diriggiate i tanti talenti e le tante cognizioni di cui Dio vi ha favorito, non a piangere con altri fantastici e sibaritici poeti il supposto valore e la non perduta gloria letteraria dei secoli anteriori, ma a far guerra ai vizj che imbrattano il secolo presente, ed a concorrere con gli uomini di buona volontà ad intrecciare fra i rami della nostra perfezionata civilizzazione gl’indefettibili appoggi del Cristianesimo. Se voi girate lo sguardo intorno a voi gettandolo sopra le più belle contrade di Europa, troverete che gli uomini, imbevuti delle idee rivoluzionarie, sono fuori di strada, e che la civil società, per questo solo, è ancora in uno stato oscillante. 11 genio del male lotta con quello del bene, e voi dovete aguzzare i vostri talenti per combattere sotto i vessilli di questo. La vittoria è certa ed assicura palme immortali. Lasciate ogni piccola occupazione ai poveri di senno, che colle loro caduche fatiche non fanno che portar legna al bosco, empir l’aria di vano rimbombo, senza speranza di premio vero.1 L’Ab. Cancellieri non ha ancora riscossi li scudi 13.75 spesi per la stampa del vostro libro, ma quanto prima li avrà, ed io gli ho fatto leggero il vostro corrispondente paragrafo onde resti giustificato il ritardo del pagamento.2

Dall’Ab. Fucili ho ritirate tutte lo copie presso lui esistenti della vostra stampa. Venderne in Roma una certa quantità non è possibile, perché quelli che si dilettano di tali prodotti, la posseggono già mediante le distribuzioni fatto da Cancellieri, da Fucili e da me.3 Mordacchini col di cui mezzo voi sperate di farle rimettere nell’alta Italia non è un libraio, ma un semplice stampatore di libri, e perciò non può corrispondere alle vostre viste. So fosse possibile di trovare altro soggetto che s’incaricasse di mandarne cinquanta copie a Napoli, e 50 a Firenze, me ne chiamerei fortunato, e ne farò prattica. Colla prima occasione ne manderò

  1. In tutta questa prima parte della lettera l’Antici non fa che ripetere quanto già aveva scritto a Monaldo. Cfr. lett. 152, p. 219, nota 3.
  2. Non sappiamo quale ragione, comunicabile, del ritardo G. avesse addotto nella sua lettera allo zio. Sappiamo però, d’altra parte, cho la ragione vera era la mancanza di pecunia in casa Leopardi; tanto che l’Antici, il quale aveva avuto l’incarico di vendere le gioie di Adelaide, vista l’urgenza di soddisfare il Cancellieri del denaro da lui sborsato circa tre mesi innanzi, aveva scritto a Monaldo ai 20 marzo: «Se credeste cho io paghi queste due partite [una ora di scudi 4,60 sborsati dal Visconti por certo tabacco fino], lo posso fare, perché dal prezzo cho ricaverò dalle perle, vi sarà un sopravanzo da rimettersi ad Adelaide, e potrò cosi farvi la sottrazione di quelle duo sommo». Dunque le gioie della madro avrebbero dovuto servire, in parte sia puro esigua, a pagare la stampa dello canzoni del figlio. Se non che Monaldo credè meglio inviare al cognato la somma in contante, la quale fu divisa fra il Cancellieri e il Visconti.
  3. Queste distribuzioni, come s‘ è visto, furono assai limitate.

17. - Leopardi. Epistolario. 1