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ANNO 181!» • LETTERA 133 221 di quei rarissimi italiani viventi che dalla posterità saranno messi nella gloria delle lettere a paro cogli antichi, m’hanno domandato h’io le avessi mai scritto, e si sono maravigliati della negativa, e molto più sentendo ch’io n’aveva infinito desiderio; perché siccom’erano consapevoli della soavità de’ suoi costumi, e particolarmente dell’eccellenza del suo cuore, non vedevano che cosa mi potesse ritenere dal soddisfarmi. Onde io finalmente mi sono vergognato che avesse pili forza in me la considerazione della bassezza mia che della sua benignità, ed ho creduto di farle ingiuria stimando quella tanto grande che questa non fosse maggiore. E per non mostrar diffidenza, non ho voluto indugiare più lungo tempo a scriverle, assicurandomi che V. S. non si saprà sdegnare che chi dalla forza del vero sarebbe costretto ad ammirarla quando anche ripugnasse, dalla inclinazione sia spinto ad amarla riverentemente, e desiderare di conoscerla meglio ohe finora non ha potuto. E ciò non solo quanto all’ingegno, il quale si dichiara massimamente negli scritti pubblici, ma rispetto alla bontà del cuore, che se bene si rlimostra grandemente anche nei libri che si divulgano, tuttavia non è dubbio che non risplenda sopratutto negli uffici privati. Ora se io mi facessi animo di proferire una sola parola in sua lode, non avrei cosa che mi scusasse; e forse la sua stessa benignità non basterebbe a impedirla che non m’avesse per l’uomo della più stolida presunzione che si possa pensai-e. Se bene agli scrittori e artefici insigni spesso vennero non discare, e talvolta desiderate le lodi anche dell’ultima plebe; e io non per lodare, ma per mia propria consolazione e sfogo direi quant’allegrezza m’abbia cagionata il suo libro sulla lingua,’ non solamente j»er infiniti altri capi, ma in particolare perch’in esso vediamo già reale e presente il risorgimento o piuttosto il nascimento dell’eloquenza italiana, della quale non avemmo in nessun tempo altro che il nome e l’ombra, ma quest’ancora negli ultimi anni era perduta. E l’eloquenza ch’io dico, benché m’abbia commosso oltremodo, non l’ho potuta sentire fuorché ne’pochi e sparsi frammenti riportoti ne’giornali, perch’è tale la del suo scrivere. Per sostenere la filologia italiana, iniziò nel’10 in Roma, insieme col Biondi. l’Odescalchi. il Botti, il Giornale Arcadico, cosi intitolato, diceva egli. ■ per portare la guerra proprio nel cuore della fazione contraria, e colà mettere a forza la luce, dove l’ombra è più densa». Mori, ospite del Cassi, a San Costanzo presso Fano, compianto, in versi e in prose, da tutta la brigata dei classicisti romani, marchigiani e romagnoli. Non cosi da Monaldo Leopardi che, conoscendone le opinioni di Carbonaro, quando il Cassi annunziò che il ricavato dalla stampa della sua Farsai/lia sarebbe servito a elevare un monumento al Pert icori, scriveva a G. andargli poco a sangue quella detenzione. Ma neanche tl. ebbe per lui una stima eccessiva, almeno come letterato. l ii ¡1 trattato Degli neri/tori del trecento ecc., di cui nella nota precedente.