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EPISTOLARIO a me questo vostro contegno, immaginatevi quanto nfHigente dovrà riuscire ai degni vostri Genitori, che invece di trovare nella compagnia dei Figli, tanto colti e letterati, un piacevole divagamento alle proprio cure, dovran purtroppo trovarvi un continuo pascolo alla più decisa tristezza. Quanto vi ho scritto con franca penna è dettato dal vero bene che vi desidero, ed il motivo renderà scusabile presso voi il mio assunto. JJon temete peraltro che pivi vi molesti con si fatte osservazioni, poiché o esse vi convincono, e non ne occorrono altre; o esse son da voi disprezzate, e non vorrei pili gettar tempo e fatica per meritarmi il vostro disprezzo. Vi abbraccio, e mi ripoto con sincero attaccamento il V. Affano Zio.i 1 Non senza molta riflessione, elaborazione o preoccupazione l’Antici si determinò a scriver questa lettera, e non senza esitazione ad inviarla. Egli doveva prevedere le facili obbiezioni di G.t ricordando quante volte in precedenza aveva, egli stesso l’Antici, manifestato il suo convincimento che la dimora in Roma fosse a G. non solo utile, ma necessaria e urgente, e quante volte avesse cercato di persuaderne Monaldo; e anche tenendo presente l’esempio de’ suoi figliuoli, ch’egli dava col fatto contro le ragioni addotte a G. Doveva quindi sentire il bisogno di tranquillizzare la propria coscienza con la rettitudine «lolle sue intenzioni, scrivendo il 27 dicembre a Monaldo: «Eccovi la minuta della mia risposta a Giacomo, cui deve restar sempre un segreto che ve ne ho data communicazione. Vedrete che ho cercato di combattere e di accarezzare il suo amor proprio, sempre però con la mira di non affligger se stesso ed i suoi colla scontentezza della sua situazione. Vorrei avere dato nel segno e riportare dalle mie sollocitudini l’approvazione vostra e della nostra Adelaide, non elio il maggior bene di Giacomo. Veggo bene che quanto scrivo sui vantaggi del suo attuai domicilio può facilmente trovare un confronto di uguali svantaggi; ma poiché le sui circostanze fisiche e inorali, e le vostre viste economiche importano ch’egli resti ancor costi, dovevo contenermi in quei termini». E continuando la lettera il giorno seguente, aggiungeva: «Non so cosa voi due pensiate della mia sincerità, alquanto durotta, e vorrei sapere come i due Fratelli l’hanno considerata. Ho cercato di presentare la medicina, aspergendo di mele gli orli del vaso, ma Dio solo può dar efficacia alle mie parole. Voi dal canto vostro (perdonate il presuntuoso mio suggerimento) aprite commercio di discorso coi vostri duo figli maggiori affinché prendano fiducia in voi, ed usate di severità con Giacomo per vincere la sua macchinale inerzia, ed a poco a poco rinvigorir la sua lassa fibra. Quei due Fratelli potranno fare l’onore della Patria e dei Congiunti, ma lian bisogno dell’altrui senno ed esperienza per esser condotti ad utili applicazioni. Chi pili di voi è nel dovere e nel diritto di farlo, e chi più di voi ne ha i mezzi! Sottraete però ai loro sguardi la lettera con cui vi partecipavo il mio disegno di scrivere a Giacomo, e cosi fate, di questa. Altrimenti egli e Carlo avrebbero soltanto dispetto di quanto è stato da me riflettuto, e tutta la mia fatica, invece di qualche bene, produrrebbe sommo male». Intanto però l’Antici non sapeva risolversi a inviare a Giacomo la lettera scritta fin dal 26; il che fece soltanto il 30, come appare dalla data apposta sull’originale, e da quanto nel medesimo giorno scriveva a Monaldo: «Ho riletto il mio sermone a Giacomo, e son rimasto perplesso so debbasi dargli corso. Mi sono poi deciso per il si, riflettendo che in ogni modo a me solo potrà venirmene male alienandosi da me l’animo suo, ma a lui non potrà venirne che bene, facendogli sentire quella verità che nessun altro gli ha detto. Non vorrei poi che voi ed Adelaide aveste motivo di tacciarmi di dottoranza, e di usurpazione dei vostri diritti». E poiché Monaldo e Adelaide