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ise EPISTOLARIO può affermare per certo che una traduzione tale non sarebbe letta da veruno, tanto ch’io stimo che poco o nulla potrebbe servire alla sua stessa Collana, e a qualunque altra opera che non sia fatta per gli eruditi. L’altra ragione è che io prima dell’anno futuro, come le scrissi nell’altra mia, non posso onninamente né pur pensare a nessun altro lavoro, eccetto quelli che ho fra le mani.1 Il che, richiedendo l’impresa di V. S. molto maggior prontezza, mi toglie ogni facoltà di soddisfarla, anche rispetto all’altra proposta ch’ella mi fa di tradurre o emendare qualche vecchia traduzione di tutta la storia di Dionigi. Oltrediché il primo lavoro, cioè di ritradurre, è troppo vasto, ed io quando anche mi ci potessi mettere immediatamente, non lo saprei condurre a fine se non dopo lunghissimo tempo. All’altro lavoro, cioè di correggere qualche traduzione altrui, conosco di essere totalmente disadatto. Con tutto questo la prego a guardare più tosto ai detti che sono liberi, di quello che al fatto ch’è necessario; vale a dire, che quantunque presentemente io non possa contentarla come vorrei, contuttociò mi tenga per disposto a farlo quando io possa, e desideroso di mostrarle il mio buon volere. 129. A Pietro Brighenti. - Bologna.2 Reeanati 21 Settembre 1818. Stimatissimo Signore. Per quante premure io abbia fatte al nostro Giordani, non m’è stato possibile di ritenerlo qui più di cin1 Quali erano questi lavori? Forse quelli derivati dalle scoperte del Mai, in cinque lettere erudite (cfr. lett. 102, p. 162, nota 3). 2 Coliazionata su di un apografo posseduto da C. Benedettucci di Recanati, e tratto dagli autografi Campori; come per altre quindici leopardiane al Brighenti, che furono jiubblicate da E. Costa nel volume Lettere inedite ecc., Lapi, 1888, già citato. È questa la prima lettera del L. al Brighenti, che segna il principio delle loro relazioni. Pietbo Bbiqhenti (1775-1846), nato in Castelvetro di buona famiglia, aveva fatto i primi studi a Vignola e a Modena, poi quelli di filosofia e giurisprudenza all’Università, conseguendo la laurea nel 1798. Innamoratosi della bella Maria Galvani, figlia di un nobile modenese di condizione assai superiore alla sua, fuggì con lei, cho unihaglisi poi in matrimonio, gli fu un angelo di bontà, rassegnazione e conforto nelle tristi fortune. Fautore delle idee liberali francesi, a 23 anni fu nominato commissario di polizia nei dipartimenti dell’alto Po, Reno e Panaro. Costretto dalle vicende politiche a rifugiarsi in Bologna, e poi cacciatone, vi riebbe il suo ufficio col ritorno dei francesi; e anzi passò ad uffici anche più importanti in vario città della Lombardia e dell’Emilia, e poi fu vice-prefetto a Massa Carrara e a Cesena. Qui, verso i primi del 1807, salvò la vita al Giordani e largamente lo aiutò nella miseria in cui quegli era caduto; di che il piacentino gli fu sempre grato, anche dopo che gli ebbe tolta l’amicizia sua, non cessando di riuscirgli utile in tutti i modi. Dopo la restaurazione, nel 1816, il Brighenti, che stava per salire ad onori anche pili alti e ambiti, dovè tornare a Bologna povero e so