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EPISTOLARIO sarebbe stata una bugia, avendovi amato cosi tosto come vi conobbi. Come dunque? Quando voi non mi amavate, o prima ch’io vi scrivessi, o prima di ricevere la vostra prima lettera ì Sarebbero state frasi più goffe ch’io non so dire. Dunque scrissi: quando io v’amava meno che ora non /o: e vi prometto che appunto questo discorso che v’ho raccontato fece l’intelletto mio nello scegliere questa frase. Ma quando mi fosse dispiaciuto, come voi credete, d’aver notati quei vostri (che voi chiamate) errori, vorrei pur sapere che cosa mi forzava di confessarvi questo peccato, e per soprappiù di promettervi che quelle osservazioncelle ve le avrei o scritte o dette a voce. Ora giacché mi predicate tanto la schiettezza e la libertà cogli amici, sappiate ch’io riprendo in quel paragrafo della vostra lettera molte cose. Primieramente quello stesso vizio 1 di cui m’accusate voi, dico la troppa prudenza cogli amici. Voi mi chiamate accortissimo politico per un detto che a intenderlo come l’intendevate voi, era una bambinaggine per non dir peggio. In verità che questo sarebbe un bel complimento da farsi a un amico. Sappiate, mio caro, che quando io non v’amava tenea conto de’ vostri errori, ma al presente, tolga Iddio! In secondo luogo riprendo che vi mettiate di proposito a provarmi certe cose, delle quali se non credete ch’io sia persuaso quant’uomo del mondo, fate male ad amarmi. Poi, che abbiate cosi facilmente creduto il vostro amico o sciocco o vano o scortese, e pigliato ombra per cosi poco. In oltre che vi chiamiate amicissimo di gente che vi reputa tutt’altro da quello che siete, di maniera che è o balorda o maligna, e non è possibile che voi la stimiate: ora io non posso né credo che un par vostro possa amare persóna che altresì non istimi; e però, stimando pochissimi, amo tanto pochi, clic a volerli contare colle dita, una mano sarebbe d’avanzo.2 Del resto è più che vero quello che voi dite del disputare cogli amici. Anzi io credo che cogli amici soli, o con quelli che facilmente ci potrebbero essere amici, sia ragionevole e utile il disputare. Dice santamente il mio caro Alfieri nella sua Vita, ch’egli non disputava mai con nessuno con cui non fosse d’accordo nelle massime. E questa credo ohe sia la pratica dei veri savi: 3 onde io, studiandomi di diventar savio, e in Recanati non andando d’accordo nelle massime con nessuno, non disputo mai, ed ostinatissimamente mi lascio spiattellare in faccia spropositi da stomacare i cani, senza mai aprir bocca; del che tutti, coni’ è naturale, mi riprendono, e dicono che bisogna dire il proprio parere, e altre cose belle: ma predicano ai porri.’ 1 Nella copia «’rii peccato», corretto «la U. in ■ vizio». - Nella copia era: «ne sarebbe d’avanzo una mano». 3 Nella copia: «K cosi credo che sieno i veri savi». 1 Nella copia: " ma parlano ai muri».