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142 EPISTOLARIO ognuna dello vostre-, voglio qualche volta esser primo a scrivervi. Senza dubbio vi sarà noto l’Arici, mio amico, od autore della bellissima Pastorizia. Egli vuole stampare in sei temetti le sue poesie, a 3 franchi il volumi’..AH si raccomanda per associati. Non voglio che voi abbiate noia di cercarne in cotesti paesi difficili: ma io mi sono assicurato di spendere il vostro nome; sapendo che amate le cose buone, e di giovare in ogni maniera agli studi; e che la spesa tenue e divisa non può gravarvi. Nullamono so non approvate il fatto mio, ditei pure sicurissimamente, ché nulla mi costerà il rimediare senza parere di disdirmi. Come state, Giacomino caro? come sta il fratellino? e quando mi direte quali siano le opinioni in che dissentite? già vi scrissi che voglio essere il coneordatore tra voi due. Che lavorate ora di bello? Io sto benonissimo, o non fo nulla: vado sempre in fine della mia giornata senza noia; e basta. Ricordatemi servo al vostro signor Padre e al fratello. Io vo contando i giorni, e anticipando alla mente quel tempo che sarò in Recanati, e vedrò il mio miracoloso Contino. Fate dunque che io vi trovi prosperoso e lieto. So da Roma avete novità letterarie, mandatemene; perché in questo cimitero io vivo al buio. Addio caro; vi abbraccio con tutto il cuore le mille volte. Xei volumi che stamperà l’Arici sarà la Pastorizia (com’egli mi scrive) emendata. 90. Dello stesso. Piacenza 30 Novembre [1817]. ilio amatissimo Giacomino. Dopo che mi avete scritta quella vostra amorosissima dei 2I,1 ricevuta da me ieri, dovete averne voi avuta un’altra mia.2 E di quella vostra io debbo ringraziarvi senza fine: ma pur in duo cose dolermi di voi. Che mi amiate molto mi è caro, poiché io tanto vi amo. Ma non voglio che vi prendiate affanno soverchio, se pur m’incoglicsse qualche male, come a tutti ne può sopraggiungere, e io non son nuovo a sopportarne. Meno poi voglio che prendiate timore e pena di mali possibili, ché sarebbe cosa infinita, e spesso vana. Acquetatevi pure. Giacomino mio: ora io sto bene in ogni maniera; e se mi avvenisse di stare men bone, converrebbe pure di averne pazienza. Ma io non mi acquieto di una parola che dite, ch’io possa ridere delle inquietudini o dell’amor vostro. Oh! spero bene che non direte mai tal cosa quando mi avrete conosciuto. Veramente bisognerebbe essere un mostro a ridere di chi ci ama, e per amarci patisce. E non solamente io non sono un mostro: ma sappiate beno che nella vostra età io era tutto come voi: e se ora l’aver vissuto e troppo conosciuto gli uomini ha moderato il mio cuore, non lo ha però molto cangiato. Onde a rider di voi, dovrei ridere di me stesso. Ma ci vedremo, io spero certo, fra pochi mesi: o dopo essorci veduti, credo non bisogneranno più spiegazioni. Cosi saviamente mi spiegate e circoscrivete il vostro amore per la gloria, ehe ve lo concedo: cioè mi liberate da ogni timore che possano provenirvene dispiaceri. Xé anche temo più delle differenze con Carlino: e quasi inclino a concedergli che non siano vere differenze tra voi. Ab1 È al n. 88. 2 È la procedente.