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anno 1817 - lettere 79-80 |
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sati; perché è mirabile la vostra filosofia e la cognizione degli uomini e delle cose pubbliche, e del modo come cammina questo nostro mondo; perché in tutta la vostra opera risplende vivissimamente cotesto sviscerato amore della patria e degli uomini, e cotesta squisita bontà di cuore che di necessità innamora e commuove gli animi: perché l’opera è tutta piena di riflessioni e di verità utilissime o nuove, o che paiono; e finalmente per cento altri pregi d’ogni ragione. Bella per le parole, perché lasciando la lingua, lo stile è, al vostro solito, dignitosissimo e, come voi amate chiamarlo, verecondo; ma di quella verecondia che conviene a questo genere di orazione, cioè verecondia non di verginella ma di matrona; perché vi si scorge cotesta bellissima unione della figura greca coi colori del trecento, o sia della venustà, naturalezza, proprietà, efficacia della lingua colla semplicissima e graziosissima nobiltà dello stile; perché questo si piega secondo il bisogno ad ogni modo d’eloquenza, e in somma è sempre quale debb’essere: e voi forse riderete di queste lodi cosi grossolane, ma oltreché probabilmente io non comprendo certe finezze, se volessi discendere ai particolari non la finirei più. Pure bisogna che noti come singolarmente belli ed eloquenti quel luogo della f. 44, dove narrate quel fatto atroce di Vespasiano, e quell'altro dove provate che bisogna difendere da sé il proprio paese, e tutta la chiusa dove da par vostro toccate certi tasti e usate un certo tuono il quale è forza che commuova. E perché vediate che vi dico sinceramente il mio parere (e voi pigliatelo per quel che vale), aggiungo che non mi par vero quello che voi dite, f. 33, che i bravi antichi aveano in dispetto la pazienza: almeno si sa degliSpartani (i quali senz’altro erano de’ più bravi) che domandavano agli Dei forza di sopportare le superchierie: la qual preghiera, e quel detto di Talete, che la cosa più rara è un tiranno che invecchi, mi paiono sublimissimi effetti della forza cosi generale come individuale del popolo, dove ciascuno sapea di potersi vendicare, e domandava pazienza per non farlo. Adesso farebbe ridere chi pregasse Dio che gli desse pazienza per sopportare le tirannie.1 Se poi per disgrazia qualche tiranno non invecchia, certo non succede per colpa nostra. M’è anche paruto una o due volte che l’abbondanza della vostra erudizione si trasportasse un tantino oltre il dovere, e che quell’accumulare esempi e paragoni desse all’orazione una cert’aria di sofistico, avvicinandola alla maniera di Temistio e di Libanio, presso i quali l’erudizione e i paragoni stiracchiati spesso stanno in vece di eloquenza. Ma questo in uno o due luoghi al più. Ogni altra volta la storia arriva opportunissima e naturalissima, e dà campo
9. - Leopardi. Epistolario. I. |
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- ↑ Nella copia era prima scritto «la tirannia».