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ANNO 1817 - LETTERE 73-74 121 Ora rispondo alia vostra carissima dei 29 Agosto.i Spero certamente che da Venezia il mio amico Cicognara mi rimanderà le vostre due. Non mancai di salutare per voi il Cesari ed il Mai, che già vi stimano e vi amano assai. Se stampate la lettera Dionisiana, credo che debba farvi grandissimo onore: e molto l’ammirò anche il Mai, col quale ne ho parlato ultimamente in Milano; come vi scrissi. L’articolo sul giudizio viscontiano fu scritto da me; ma nella stampa mutato.2 lo non mi muoverò di qua: se non forse im poco in Novembre, por andare pochi giorni a Milano. Però scrivetemi qua, ognora che senza disagio il potete, per consolarmi. Duoimi assai assai della vostra salute; che non cesserò mai di raccomandarvi. Gran rimedio, e unico, sarebbe muovervi, distrarvi, cercar un poco di nuovo paese: e comincierei da Roma.® Penso che il vostro signor Padre avrà cura di un si prezioso figlio; e penserà non poter meglio usare la sua fortuna che nel conservarvi sano e lieto, e mantenervi a quelle uniche e rarissime speranze che di voi ha l’Italia. Quanto siete buono. Contino mio caro! Ma toglietevi affatto dall’affliggervi o inquietarvi mai per me. Sappiate che io sono indurato ai mali; e difficilmente può accedermi cosa alla quale non basti la mia pazienza. Ora però sto bene; e non posso lamentarmi di nulla. Se i miei impeti di studio non fossero rarissimi o brevissimi, piglierebbemi voglia di scappare da questo povero paesaccio, dov’è propriamento miserabile e vergognosa la penuria de’ libri anche più usuali. Ma poiché io non voglio leggere se non per riguadagnare il sonno, ch’è l’elemento della mia vita, posso facilmente tollerare questa miseria. In tutto il resto ho cagiono eli esser contento. Qui (come altrove), nobiltà ignorante e superba; preti ignoranti e fanatici; moltitudine infinita di sciocchi; miserie e vizi; un governo cho fa pietà: ma alcuni uomini eccellenti e rarissimi; dai quali posso continuamente imparare; amici fedelissimi e cari; qualche donna amabile; molta libertà di pensare e di parlare. Le mio cose spero d’accomodarle in modo d’aveme indipendenza e qualche agiatezza. Gran consolazione mi dà la sorella, che è il miglior cuore del mondo; d’una ingenuità soavissima; affezionata a me quanto mai si può. Mi diverto ad esercitare pazienza colla mia buona madre, che ò la più sublime e la pili incomoda santa della terra: mi divert«il potermi vantare di sopportare una santità che impazientirebbe gli apostoli e i profeti.4 Mio fratello, diligentissimo nei danari, ma del re1 È al n. 71. 2 Risponde alla domanda fattagli da G. verso la fine della lett. 71. 3 Se in questo il Giordani s’accordava con Carlo Antici, Monaldo non sapeva risolversi a separarsi dal figlio. Eppure egli riconosceva che potesse tornare utilo a G. l’uscire da Recanati, e che ad un giovane il distacco dalla patria e dalla famiglia non sarebbe stato cosi difficile e doloroso com’era invece ad un uomo avanzato negli anni e cho senta consolidati i vincoli al paese natio e allo affezioni domestiche. Ma ¡’affetto era in lui più forte della logica. Il che non vuol diro ch’egli non si prendesse cura «di si prezioso figlio», desiderando di vederlo lieto e sano. 4 In ciò la madre del Giordani doveva molto somigliare a quella di G. Se non che qui il Giordani, per un riguardo a se stesso e al suo giovine amico, non trascende verso la madre a quelle eccessive querele ed accuse che usò con altri, chiamandola «cattiva e insopportabile», di cattivo cuore e di pessima tosta, «dura e imporiosa», e arrivando a dire che gli era «odiosissima». Eppure neanche quella madre meritava, come non la meritava la madre di Giacomo, l’avversione del figlio; poiché se, affètta anch’olia da nevrastenia, non