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ANNO 1817 - LETTERA 54 99 statore greco, ho trovato con grandissimo piacere clic la sua osservazione è verissima e maestrevole, tantoché qualche passo di autore trecentista mi è paruto aver sembianza di traduzione dal greco. Non è maraviglia che io non ini sia accorto prima di questa parentela tanto evidente (e già probabilmente l’ingegno mio senza il suo avviso non se ne sarebbe accorto mai), perché fin qui de’ prosatori nostri ho avuto per le mani piuttosto i cinquecentisti e gli altri che i trecentisti.1 Della maniera dei quali, che mi pare la stessa cauli idezza e soavità, come avrò potuto farmi un po’ di capitale in niente, voglio subito porre ad effetto il consiglio ch’Ella mi ha dato di studiare di proposito e tradurre alcuno de’pivi antichi prosatori greci, che mi paro debba essere opera di singolare diletto e utilità. Le cose che io volea dirle sopra i suoi opuscoli, vagliono tanto poco che io mi vergogno a cacciarle fuora. Perché Ella me lo comanda, lo farò: ma non si aspetti poi altro che qualche nulla. Ella una volta ha usato non ’per tonto negativo senza l’aggiunta del secondo non. Io mi ricordo di aver letto che non per tanto non nega senza un altro non, appunto come non può dire: nondimeno egli è, chi vuol negare che sia. Ma l’avrò letto presso qualche grammaticaccio da nulla, e a ogni modo Ella vegga la bella osservazione che è questa mia. Ho notato che Ella, come mille altri de’ buoni, usa, nominando le persone pel solo cognome, lasciare l’articolo. Ora da qualcuno vissuto certo tempo in Toscana, ho sentito che questo là non si fa, e non si vuol che si faccia, perché, dicono, il cognome è aggettivo e non può stare da sé, valendo quanto il patronimico dei Greci; onde come non si dice, per esempio, Pelide assolutamente ma, il Pelide, cosi non si può dire Salviati Valori Strozzi, ma il Salvia ti ii Valori lo Strozzi. Questa ragione a me quadra, e può stare che negli antichi non si trovino molti esempi contrari. Veda Ella se le par buona. Era le sue prose in modo singolarissimo mi è piaciuta quella sopra un dipinto del Camuccini e uno del Laudi, dove ho ammirato la leggiadria e morbidezza straordinaria, e quella proprietà e forza tanto necessarissima e difficilissima per descrivere colle parole e mettere innanzi agli occhi un quadro. Cimento proprio tenibile, e da spaventare ogni men prode e potente di Lei, mettere cosi apertamente alle prese l’arte di scrivere colla pittura. Ed Ella è riuscita mirabilmente. In questa tanto squisita prosa ho trovato un’opinione sopra la quale avrei qualcosa che dire. Ella ricorda in generale ai giovani pittori che senza stringente necessità della storia (e anche allora con buon giudizio e garbo) non si dee mai figurare il brutto. Poiché, soggiugne, l’ufficio delle belle arti è pur di moltiplicare e perpetuare le imagini di quelle cose o di quelle i È da tener conto ili questa dichiarazione.