1351. |
A Monaldo Leopardi. |
|
Mio caro Papà. Ier l’altro ricevetti la cara sua degli 11. ritar-
data per l’infame negligenza di questa posta, e unitamente all’al-
tra dei 19.1 Le notizie ch’Ella mi dà, mi hanno colpito straor-
dinariamente;2 e in mezzo all’angustia in cui mi trovo, non
posso a meno di non dolermi affettuosamente ancora di Lei,
che mi abbia celato questa cosa fino a quest’ora, come se io non
fossi parte interessatissima nell’affare, per l’indicibile solleci-
tudine che ho d’ogni cosa loro. In questa mia lontananza, che
mi riesce sempre più amara, non posso dir nulla di preciso sopra
tal materia: solamente posso assicurarla che, conoscendo Carlo
intimissimamente e meglio che verun altro al mondo, per aver
diviso la vita con lui duranti 26 anni interi, io credo, anzi so
di certissimo, che il suo cuore e il suo carattere sono talmente
buoni, che senza una forza soprannaturale, è impossibile che
diventino cattivi. E però tengo fermamente p[er] impossibile che
Carlo riflettutamente, e in cosa grave, si riduca a mancare al
dovere verso Lei e la Mamma, e a dar loro un terribile disgu-
sto. Io resterò loro certamente sempre finché vivo; e morrò per
loro, se bisogna: ma mi creda, mio caro Papà, che indubitata-
mente Ella non perderà neanche Carlo, qualunque sieno le appa-
renze presenti, e i progetti che egli possa volgere in mente. Ho
dubitato molto se fosse a proposito ch’io gli scrivessi: il mio
cuore mi ha costretto a farlo, non p[er] urtar la cosa di fronte,
ma p[er] mettermi in relazione con lui sopra questo affare, del
quale egli non mi ha mai scritto, nè fatto scrivere nè dire una
sola parola.
Dio vede, caro Papà mio, quanto compatisco Lei e la Mamma
di questa nuova afflizione. Oh se potessi già trovarmi con loro!
La ringrazio tanto della premura circa la camera; ma credo che
combineremo meglio in presenza, e credo ancora che potrò pren-
dere un metodo di vita meno incomodo dell’altra volta. Intanto