1282. |
A Monaldo Leopardi. |
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Caro Papà mio. Ricevo qui da Pisa la carissima sua del primo.
Le sue lettere sono assolutamente l’unica consolazione ch’io
abbia; ma da quest’ultima provo tutto il conforto che può dare
nelle grandi afflizioni l’amore delle persone care. Ella mi signi-
fica l’amor suo così teneramente, che giunge a rallegrarmi; tanto
più ch’io sento assai bene di meritarlo interamente, se l’amore
si merita coll’amore.
Io entro con tutta l’anima in ciascuna particolarità del dolor
suo. Mi sarebbe impossibile di decidere se nella pena che ho
provata e che provo, abbia più parte il sentimento mio proprio
della nostra disgrazia comune, o la riflessione che fa nell’animo
mio il dolor loro. Ma come potrei deciderlo, se la disgrazia è
tanto grande, che io posso dire di non averla mai intesa bene,
e di non intenderla ancora? Ho pianto macchinalmente, senza
quasi sapere il perchè, senza nessun pensiero determinato che
mi commovesse.
Intanto Ella mi perdonerà se torno a pregarla di accettare
qualche distrazione. Finché Dio ci vuole in vita, Ella è neces-
saria a noi, e noi a Lei: dobbiamo aver cura alla nostra salute,
non più per noi stessi, ma gli uni per amor degli altri. Io per
causa mia propria le raccomando con tutto il cuore di acconsen-
tire a trattar l’animo suo in modo, che la sua salute non ne pati-
sca. E son certo che la mia cara Mamma e i miei cari fratelli le
fanno, ciascuno in particolare, la stessa preghiera per causa loro.
E probabile che la lettera al Cav. Rossi non sia stata riscossa
da alcuno, e sia restata alla posta. Ho piacere che Ella abbia
veduto e gustato il romanzo cristiano di Manzoni. E veramente
una bell’opera; e Manzoni è un bellissimo animo, e un caro uomo.
Qui si pubblicherà fra non molto una specie di continuazione
di quel romanzo, la quale passa tutta per le mie mani.' Sarà
una cosa che varrà poco; e mi dispiace il dirlo, perchè l’autore