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zioni del carnevale, sebbene io non ignorava che quest’anno il carnevale di Roma non doveva esser migliore di quello di Reca- nati. Sentendo poi che, in vece del carnevale, tu hai avuto una cattiva quaresima di dieci giorni, ne sono rimasto veramente afflittissimo. Se puoi, e come e quando potrai senza incomodo, dammi nuove esatte, ti prego, della tua salute. Io spero certo che a quest’ora tu sii pienamente ristabilito, ma non avrò pace finché non avrò da te stesso questa buona nuova, che desidero tanto tanto, con tutto il cuore. Del Teofrasto non darti più pensiero. Il tradurlo era un’i- dea che mi era venuta, supponendo facile l’eseguirlo. Ma poi- ché a Roma non si trova il libro, e conviene tapinarsi per tro- varlo, non v’è necessità di prendersi questa pena, e io posso bene appigliarmi a qualche altra occupazione, senza che ciò mi fac- cia alcun disappunto. Circa la Farfense, a tuo comodo, avrò caro di ricevere da te la risposta a quei punti che ti specificai nell’ultima mia, se potrai farmi questo favore. Se tu vedi Missirini, fammi il piacere di domandargli, come da te, se ha avuto risposta alla lettera che mi scrisse, e al libro che mi mandò. Io gli risposi una lunga lettera, la quale pareva che dovesse portare una replica da parte di Missirini, ma non veggo nulla. Mi dispiacerebbe che non avesse ricevuta la mia, perchè parrebbe che io non avessi risposto, e che non conoscessi la civiltà. Per ora non mi dilungo di più. Sto in grande attenzione delle tue nuove. Consolami presto, ed abbiti cura quanto più puoi, anche per amor mio. Io t’abbraccio e ti saluto con tutto l’animo. Così fa anche Carlo, il quale è pur molto dolente del tuo inco- modo. Addio, addio. Il tuo affmo Cugino G. Leopardi