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vostro. Egli mandò a ritirarli la mattina dei 20, e voi, con pieno vostro commodo, farete avvisato Francesco Bufarino che si rechi da voi per riceverli, avendolo io prevenuto colla posta di questa mattina dell’uso che dovrà farne. Ritenetevi sù quel denaro li baj. 20, o più per il volumetto ultimo del Giordani, che dovrebbe essere il 14°, giacché io ne posseggo altri 13, oltre quello dei piccoli rami. Le vicende patrie di quell’insigne let- terato gli hanno procurato un felice asilo in Firenze, ove già impingua gloriosam.e coi suoi sempre leggiadri articoli l’Antologia periodica. Appunto in quel giornale ho letto un breve elogio delle vostre magi- strali Canzoni, e l’annunzio, che Pietro Giordani si accinge ad inse- rirvi l’analisi.1 Quanto Egli fece un giorno per l’Arici,2 tanto sicu- ram.e, e più farà per voi, sicché [sic] potrete saziarvi d’incenso let- terario. Ma permettete, che vel dica, ma quanto più bell’incenso ancora avrebbe fumato per voi, caro Nepote, se piangendo coi vostri classici versi la degradazione d’Italia, ne aveste indicata la vera causa, cioè l’irreligione. Orazio stesso, quantunque non molto bigotto, gridava ai suoi concittadini: « Delieta majorum immeritus lues, Romane, donec tempia refeceris».5 Ed avrà difficoltà di farlo un poeta illuminato dalla luce evangelica. A voi ha dato dio il pensar profondo, il sentire energico, lo scrivere luminoso. Fate, deh fate, che tanti bei doni non siano perduti «per acquistar di fama un breve suono»; ma per cin- gervi la fronte d’immarcescibili corone. Se scriverete un’Iliade, dopo un breve tratto di tempo non ne avrete alcun bene; se vi unirete coi pochi valorosi, che consacrano i frutti del loro ingegno a ricondurre la morale religiosa sulla terra, ne avrete un guiderdone eterno. Non disprezzate questi cenni; essi vi vengono da chi sinceram.e vi ama, e da chi per la sua provetta età ha qualche diritto alla vostra fiducia e deferenza. Giorno verrà, in cui mi renderete grazie di questi consigli. Dopo ciò potrete facilmente immaginare con quanta compiacenza io abbia inteso, che ora nobilmente mettete a usura il vostro tempo nel tradurre operette morali scelte da autori greci i più classici. Per fare arrossire i filosofanti moderni, non ci è di meglio, che controporre ad Essi i moralisti antichi. Questi, meno il sozzo gregge di Epicuro, inse- gnavano sempre che non si può essere ne vero uomo ne vero cittadino senza buoni costumi derivanti dal timor degli Dei. «Discite justitiam moniti, nec temnere divos». Quelli vogliono far di noi machine tutte sensuali, e pretendono che l’amor proprio, l’orgoglio, la libidine ci siano maestre di generose azioni!