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mandato alla memoria varie sentenze: ora che il volume è cresciuto di tante altre cose bellissime, e che mi viene in dono da Lei, può pen- sare se torna caro all’animo mio. Ella sempre più con queste altissime rime, mi fa risolvere a credere, che li poeti sono quelli che formano le rigenerazioni ne popoli: e già il divino Alfieri ce ne avea dato l’esem- pio, che ha formato in noi un nuovo sentire, e un nuovo pensare: e questo è tanto vero, che le prime volte, che si produssero sulle scene le sue tragedie, vennero a tutti oscure, asprissime, fredde, come cibo disadatto ai nostri palati: nè l’Italia s’avvide di avere nell’Alfieri il primo suo grande Poeta Filosofo e Politico, che ha vinto la prova d’ogni suo rivale di qualunque nazione, che quando cominciò a riformare il pensier suo, ed il suo desiderio, componendolo con quello del suo Tra- gico immortale. M’avviso, che abbia per ora ad accadere altrettanto delle sue rime, anzi di più, perchè elle sono di molto più chiuse, ed alte, e severe delle sentenze di Vittorio: onde le non sono alimento al nostro gusto, per mille maniere di bugiardi sdolciamenti corrotto. Ma questa circostanza per noi lagrimevole, sarà salutare per Lei: imper- ciocché in queste canzoni non so s’io m’abbia ad ammirar più l’altezza della mente, o la magnanimità del suo ardire. E per ciò, come ch’io la creda forte, e risoluta ad ogni avversa fortuna, sarà bene, che Ella dalla cima, a cui non può essere aggiunta, non pala pericolo, per ser- barsi ad altri parti valorosi della sdegnosa, e nobile sua anima, o forse anche a tempi meno infelici, e sozzi. La securtà, che prendo nella sua cortesia mi dà animo di esporle una mia considerazione. Nelle sue prose, le quali estimo al pari de versi, e distintamente in quella del Bruto Minore, Ella reca accomodatamente i detti di Bruto, e di Teofrasto dichiarati in sul punto della morte, con cui vollero insegnarci aver dessi tratto dalla lunga esperienza di tante fatiche, e tanti sudori l’amara verità, che la virtù, e la gloria sono poca cosa in questa vita, e che se v’ha Idolo, che forse più meriti i nostri incensi, sia la fortuna: or io per fare la sentenza compiuta, e mostrare la intera nullità delle cose, avrei anche posto in mezzo le ultime parole di Augusto Ottaviano, colle quali dichiarò tutta la vita sua, cioè il cumulo di tutti i favori della fortuna, essere una farsa di Teatro. Ma Ella per non farci poveri del tutto, avrà volsuto lasciarci almeno la speranza d’uno sguardo beni- gno della fortuna, il quale tuttavia quanto sia da bramarsi, essendo questa così cieca, e mutabile ne suoi doni, e ne’ suoi volgimenti, Ella sei vede meglio di me. E perchè ho cominciato ad allargare la reve- renza, che si deve ad un Uomo suo pari, e da un peccato si sdrucciola