Caro amico. Ilo ricevuto le due vostre amabilissime dei 17
e 27 del passato. Io, caro amico, ho un grandissimo vizio, ed
è che non domando licenza ai frati quando penso nè quando
scrivo, e da questo viene che quando poi voglio stampare, i Frati
non mi danno licenza di farlo. Vi ringrazio senza fine delle cure
che avete preso per le mie Canzoni, e ve ne sento obbligo dop-
pio, sì per la cosa in se stessa, e sì per la pena che vi deve essere
costata l’avere a disputare con quella razza di gente. Dite benis-
simo che i teologi sono una sorta di gente così ostinata come
le donne. Prima si caverebbero loro tutti i denti dalla bocca,
che un’opinione dalla testa. Bensì credo che sia meglio avere
a fare colle donne, e anche col diavolo, che con loro. Del resto,
non veggo come si offendano i monarchi nelle mie canzoni nuove,
e se nelle prose si annulla la virtù, io dico espressamente a chiun-
que ha studiato la santacroce, che intendo parlare della virtù
umana, e delle teologali non entro a discorrere. Dico che nel
principio di quella prosa che ha dato luogo a questo rimpro-
vero,1 sta scritto che la virtù è ec. ec. umanamente parlando, e
nel fine di essa prosa si tocca la religione in modo che, fuor d’un
frate revisore, niuno ci può trovar che riprendere. Io avrò molto
caro che vogliate veder di combinare la stampa delle canzoni
in qualche altro luogo colle avvertenze e modi che io vi specifi-
cai minutamente. Ve ne sarò tenutissimo, anzi vi ringrazio fin
da ora di questa proposta, e me ne rimetto a voi. Non ho veduto
il Giornale del prof. Orioli, perchè sapete che sto fuor del mondo.
E questo medesimo fa che le mie lettere non arrivano al nostro
caro Giordani, al quale ho scritto però sempre, e in particolare
risposi2 subito all’ultima sua che fu de’ 16 di Febbraio. Se
avrete occasione di significarglielo, abbracciandolo da mia parte,
mi farete molto piacere. Io v’amo, e vi prego ogni felicità, la
quale vorrei potervi proccurare con altro che con preghiere. Non