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da offrire a una diavolessa, non che a un angelo amabile come Pao- lina. E anche qui si confonde mestamente il mio pensiero. Fa grandis- sima sciocchezza l’uomo che si ammoglia; e appena è possibile a donna esser felice non maritandosi. Salutami caramente Paolina e Carlino. A tuoi genitori dirai, che ben volentieri, se trovar potessi un partito anche mediocre. Ma qui la ricchezza (ricchezza però di questi paesi) è in pochissimi: e questi sono anche più ineducati e brutali, in un paese ineducatissimo: e cercano le doti milanesi e genovesi. Tra i tanti pen- sieri che mi rattristano ci è pur questo, di conoscere in vari paesi, ragazze brave, buone, degne di felicità, che non trovan marito, o s’im- piccano orribilmente. Voglio finire; poiché la penna non mi getta che tristezze. Non ti chiedo che mi ami; nò: ti chiedo che mi scriva. Giacomino mio, ricordati che il mio cuore è sempre teco. Addio addio.

583. A Giuseppe Melchiorri.
Recanati, 29 Agosto 1823.

Caro Peppino, L’interesse ch’io prendo alle cose vostre fa che molto mi dispiacciano i disgusti che avete avuti con Visconti. Non so che dire. Me ne dispiace anche per lui. Veramente le amicizie o non si dovrebbero mai stringere, o strette che fos- sero, non si dovrebbero mai rompere. Sono però ben certo e ben persuaso che la colpa in ciò non sia stata vostra. Mio padre non crede bene di prendere la collezione di Torino, perchè se si considera come collezione de’ classici, egli ha già quella di Manheim, ch’è molto più corretta; se si considera come collezione dei Variorum, in questa parte l’edizione di Torino non vale propriamente nulla, come, se vi ricordate, siamo con- venuti insieme più volte. Finalmente mi è stato spedito da Treia il piego degli stam- poni colla vostra carissima inclusa.1 Non finirei di ringraziarvi della cura e diligenza che per amor mio avete messa, come ben vedo, nella correzione delle prime prove. Le correzioni che ho fatto in queste seconde, non sono di grandissimo momento, nè