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577. A Pietro Giordani.
Recanati, 4 Agosto 1823.

Mio caro angelo, Prima di partire da Roma io aveva inco- minciato a scriverti una lunga lettera, la quale mi convenne tra- lasciare insieme con ogni altra cosa subitamente, perchè la per- sona colla quale io aveva a fare il viaggio,1 volle partire prima di quello ch’io m’aspettava. Così mi portai meco quella lettera incominciata, e giunto qua, voleva finirla e mandartela, ma mi ritenne il pensiero che da Recanati niuna mia lettera ha mai fortuna di arrivarti: la qual cosa, delle tante miserie di questo soggiorno è la prima per me. Coll’ultimo ordinario ebbi la dol- cissima tua dei dieci luglio, che mi fu spedita da Roma. E poi- ché mostri tanto desiderio delle mie nuove, Dio voglia che questa che ti scrivo non vada a male. Tanto sia detto per iscusare il mio silenzio passato, se bisogna, poiché tu devi credere ch’io non ho nè avrò mai maggior diletto nè desiderio che di star teco, potendo, colla persona, e non potendo, col pensiero e colla scrit- tura. Io dunque, mio carissimo e santo e divino amico, partii di Roma tre mesi addietro e me ne tornai nella mia povera patria; avendo goduto poco o nulla, perchè di tutte Parti quella di godere mi è la più nascosta, e niente dolendomi di ritornare al sepol- cro, perchè non ho mai saputo vivere. In verità era troppo tardi per cominciarsi ad assuefare alla vita non avendone avuto mai niun sentore, e gli abiti in me sono radicati per modo che niuna forza gli può svellere. Quando io mi sentiva già vecchio, anzi decrepito, innanzi di essere stato giovane, ho dovuto richiedere a me stesso gli uffici della gioventù ch’io non aveva mai cono- sciuta. Ma in quest’animo ella non poteva trovar luogo. E così, colla esperienza di me stesso, mi sono certificato che la natura o l’assuefazione m’hanno disposto in modo da non poter essere altro che nulla. Non ti nego però che questa mia sepoltura non mi riesca alquanto più molesta di prima, specialmente perch’io non ci ho quella libertà che ho sperimentata fuor di qui per alcuni