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è troppa fatica lo scrivere: ma sai insieme che io ti amo quanto amar si può al mondo; e mi struggo di desiderio d’ogni tuo bene; e conti- nuamente a te penso, te desidero. Dunque per carità mandami subito una riga, che mi dica dove sei ora: con tuo comodo mi scriverai il più lungo possibile; poiché la mia voglia di leggerti è insaziabile; e non ho altra consolazione che lo sperare che in te la felicità e la gloria giun- gano ad agguagliare il merito. Dubito se tu sii ancora a Roma: perciò indirizzo la presente a tuo zio: al quale ti prego ricordarmi; e dirgli che ricevetti il suo libro,1 e gli scrissi il 9. Marzo: non vorrei parergli bestia, se mai la mia lettera si fosse perduta. Sono ansiosissimo di sapere se conseguisti ciò che voleva procu- rarti il buon ministro Prussiano; o altra cosa che ti dia da viver libero in Roma. Per carità dimmi al più presto ciò che è di questa tua condi- zione, che è la cosa la più importante. Se ritornasti a casa (ohimè) dimmi come la passi. Salutami con affetto infinito e Carlo e Paolina (il che puoi far subito scrivendo, anche da Roma,) e dammi loro nuove. Che fanno quelle carissime anime? che sperano? Io son bene obbligato alla molta cortesia del Signor Rezzi, che per ogni occasione mi manda a salutare. Ti prego di vederlo qualche volta per me; e dirgli che io lo riverisco e lo ringrazio molto di cuore. È un altro mio cittadino costì, buono scultore, e cortese, Giulio Cra- vari: ti prego a volerlo conoscere, e salutare caramente per me. Giam- battista Bassi valente e divenuto celebre pittor di paese è un amico mio antico, di amabilissima indole; piacciati di vederlo, e caramente salutarlo da mia parte: son certo che ti gioverà molto di averlo cono- sciuto. Non ti dico niente di Mai e di Canova (ai quali, dopo lungo silenzio scrivo). Mi persuado che li vedi spesso; e non manchi dir loro ogni volta che io li adoro sempre. E amorevolissima la tua querela, o amatissimo, che io non ti parlo mai di me. Ma che vuoi ch’io ti dica sempre la stessissima miseria; che sempre mi tiene incapace d’ogni occupazione e d’ogni conforto quest’antica e disperata malattia di nervi; che mi macerano continue tristezze, per cagioni publiche e private; e che solo l’estrema debo- lezza dell’animo e del corpo è cagione che il mio soffrire non sia fre- netico, qual fu finché mi rimase qualche vigore? Ma tu nel fiorir del- l’età, e delle speranze, avendo giustissimamente vastissime speranze, se non per la fortuna certo per la gloria; tu consolami col dirmi o che vai riducendo la fortuna ad esser meno iniqua, o che puoi ancora for- temente conculcare la sua iniquità. Caro Giacomino, per quel che ami