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che lo abbia fatto ne sono sicura credendo a voi), o perchè D. Marianna abbia cambiato opinione, e sia in pensiero di dargli Mariuccia, come ne aveva avuto la dimanda, che avea ricusata però; o sia perchè tema di avere dal Cav. una ripulsa, o avuta non voglia nasconderla a noi; oppure si sia pentito di farmi questo bene. Voi nei discorsi che terrete con lui potrete facilmente capirvi tutto. Io avrei voluto, che non si scrivesse più di questo affare a lui come se fosse finito, giacché è chiaro, che non ha voglia di far altro; e raccomandarmi solo a voi di prose- guire questo affare per mezzo di Melchiorri. Mi dice però il Papà che scrive tanto a voi che a Zio Carlo: a lui per pregarlo nuovamente di tirare innanzi; a voi, perchè d’accordo con lui se lo vedeste inclinato, se nò solo, e da Melchiorri, ci poteste dare una risposta decisiva, e sollecita; perchè, Giacomuccio mio, fino che vi è in me una ombra di speranza di poter conchiudere con questo, non voglio sentir par- lare di altri; altrimenti vi è un altro partito, al quale per quanto creda orribile, bisognerà pure che mi adatti per disperazione. Ma finora io spero in voi, e aspetto le vre lettere con un palpito terribile. Se sape- ste quanto piango! Ma mi sembrerebbe di non aver penato niente, se arrivassi a conseguire questo. La Dote io credo che si potrebbe arri- vare agli 8 mila, pagati finora in frutti ec. Vedi un poco, Giacomuccio mio, se puoi consolarmi. Io faccio una vita da disperata. Sentirai da Carlo cosa ci è successo l’altra notte, in cui non piansi mai tanto quanto allora. Puoi bene immaginarti che io me ne prendo più di ogni altro, e che non trovo altro sfogo che nel pianto - Benché non veda l’ora di vederti, pure ho sentito con piacere che hanno differita anche un poco la tua partenza - Avrei voluto risparmiarti questa mia lettera (che dopo la tua ultima a me, non chiamo più seccatura) giacché ti scrive, mio padre; ma dopo l’avventura di questa notte, non sono ben persuasa che ne trovi il tempo - Addio, Giacomuccio mio - Consola- mi, se puoi - se nò, troncami presto questa dubbiezza atroce, in cui vivo.

551. A Monaldo Leopardi.
[Roma 16 Aprile 1823.]

Carissimo Sig. Padre. Non ho che soggiungere alle sue savissime riflessioni espresse nella lettera dei 10 corrente.1 Ma, com’Ella dice, non si rischia