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Lucrezia mi trattò con ogni possibile finezza, ma io ho sempre osservato il proponimento che feci di non tornarci mai più. Addio cara Paolina mia. Stammi bene, e non ti curare d’essere una gamba mia, come dici, chè adesso ti converrebbe di faticare bestialmente, e di mandare ogni giorno al diavolo le selci e i fanghi e l’eternità delle strade di questa città eterna. Io t’amo. Salutami tutti, e particolarmente la Mamma e Luigi. Dì anche una parola per me a D. Vincenzo. Marietta ti saluta, e credo che ti scriva.

538. A Carlo Leopardi.
[Roma] 22 Marzo 1823.

Carlo mio Ti ringrazio infinitamente della tua cara dei 13 che giunse qui due interi giorni dopo l’ordinario, e dell’altra carissima dei 16 che ricevetti subito. Devi certamente ridere, come io fo, della filologia, della quale mi servo qui in Roma, solamente per le ragioni che ti dissi altra volta, e servendomene, sempre più ne conosco la frivolezza. In particolare poi l’articolo che ti ho man- dato è una vera coglioneria, ma sebbene il metodo ch’io v’ho tenuto è appunto quello che s’usa da’ tedeschi, non perciò dovete credere che il Ministro, lodando l’articolo, abbia avuto o uni- camente o principalmente in vista il metodo. Anzi di questo non mi ha nemmeno parlato; mi ha bensì parlato di altri pregi ch’egli ci Lrova, dei quali non vale la pena di fare altro discorso. Qualche giorno dopo la prima entrevue ch’ebbi col Ministro, ricevetti un suo biglietto, dove colla maggior gentilezza e pre- mura possibile, mi diceva in sostanza che aveva parlato di me al Segretario di Stato, che questi non era alieno dal provvedermi, che intendendo la mia avversione al sacerdozio, gli aveva doman- dato se mi risolverei di prender l’abito di Corte, il quale mi avrebbe aperto la strada ad impieghi ed onori.1 Mi consigliava di mandargli senza dilazione una supplica pel Segretario di Stato,