Roma la sera di Carnevale 1823 |
Caro Carlo mio. Ti scrivo per salutarti, e dirti che sto bene
e ti voglio bene come sempre. Sono assordato dal maledetto stre-
pito del Carnevale, di cui non ti parlo, perchè te lo puoi figu-
rare. Spettacoli e poi spettacoli non sono mancati, non man-
cano e non mancheranno fino a sei ore e mezza. Poi il diavolo
se li porterà in anima e in corpo, come tu sai. Domani farò il
comodo mio: son dieci giorni che fo quello degli altri, e che ne
debbo restare obbligato. Ti manderò fra poco le bagattellissime
che ho stampate qui, e pubblicate da qualche giorno.1 Salutami
tutti. Nell’ultima mia mi scordai di soddisfare a una tua do-
manda. Mi chiedevi della salute di Marietta, la quale sta bene,
e non ha mai più sofferto nè di convulsioni nè d’altro come tu
temevi. Quanto alla robustezza, mi par che sia robustissima.
Quanto alla floridezza, non è gran cosa; ma s’io mi ricordo bene,
il suo colorito è stato sempre così.
Voglimi bene, ancorché non è necessario il pregartene, ma
questa clausola serve a conchiuder la lettera. Giorni sono fui
a pranzo da Mons. Mai, dove a me e ad altri ch’erano presenti
successe uno di quei casi curiosi2 che danno sempre da discor-
rere a una città che non fa nulla, com’è accaduto in questa circo-
stanza. Te lo racconterò a voce, perchè sarebbe troppo lungo a
scriverlo. Addio: ti do tanti baci, e ti ricordo il tuo antico Buccio.
Carissimo Sig. Padre
Ho ricevuto la sua affabilissima degli n corrente,1 e l’altra
che si compiacque di scrivermi a nome di Pietruccio, per la quale
ho dovuto maravigliarmi che fra le sue occupazioni presenti,