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517. A Carlo Leopardi.
Roma la sera di Carnevale 1823

Caro Carlo mio. Ti scrivo per salutarti, e dirti che sto bene e ti voglio bene come sempre. Sono assordato dal maledetto stre- pito del Carnevale, di cui non ti parlo, perchè te lo puoi figu- rare. Spettacoli e poi spettacoli non sono mancati, non man- cano e non mancheranno fino a sei ore e mezza. Poi il diavolo se li porterà in anima e in corpo, come tu sai. Domani farò il comodo mio: son dieci giorni che fo quello degli altri, e che ne debbo restare obbligato. Ti manderò fra poco le bagattellissime che ho stampate qui, e pubblicate da qualche giorno.1 Salutami tutti. Nell’ultima mia mi scordai di soddisfare a una tua do- manda. Mi chiedevi della salute di Marietta, la quale sta bene, e non ha mai più sofferto nè di convulsioni nè d’altro come tu temevi. Quanto alla robustezza, mi par che sia robustissima. Quanto alla floridezza, non è gran cosa; ma s’io mi ricordo bene, il suo colorito è stato sempre così. Voglimi bene, ancorché non è necessario il pregartene, ma questa clausola serve a conchiuder la lettera. Giorni sono fui a pranzo da Mons. Mai, dove a me e ad altri ch’erano presenti successe uno di quei casi curiosi2 che danno sempre da discor- rere a una città che non fa nulla, com’è accaduto in questa circo- stanza. Te lo racconterò a voce, perchè sarebbe troppo lungo a scriverlo. Addio: ti do tanti baci, e ti ricordo il tuo antico Buccio.

518. A Monaldo Leopardi.
[Roma] 15 Febbraio 1823

Carissimo Sig. Padre Ho ricevuto la sua affabilissima degli n corrente,1 e l’altra che si compiacque di scrivermi a nome di Pietruccio, per la quale ho dovuto maravigliarmi che fra le sue occupazioni presenti,