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cazzo di medicamenti, come volevano a ogni patto, ed essere stato in letto quanto m’è parso bene, che non la volevano in corpo. Addio addio, ch’è ora di pranzo, e andremo a sentirne delle belle, secondo il solito.

515. A PlERFRANCESCO LEOPARDI.
[Roma] 8 Febbraio 1823

Caro Pietruccio Mi fate tanti ringraziamenti1 per una bagattella tale com’è quella ch’io vi mandai, che resto quasi obbligato io medesimo a ringraziarvi. Avevo saputo che vi siete fatto un bravo scrit- tore, benché la prima volta che mi scriveste, non ci volessi cre- dere; ma non sapevo che foste diventato poeta. Baciate la mano per me all’Apollo che v’ha ispirato,2 e ditegli che tutti noi stiamo benissimo. Baciate ancora la mano alla Mamma, e dite- gli che il Zio Carlo la saluta tanto, e si chiama confuso del suo biglietto. Salutate i fratelli, vogliatemi bene, e divertitevi que- sti ultimi giorni di carnevale. Addio.

516. Di Carlo Leopardi.
[Rccanati] 9 Fcb.° 1823

Caro Buccio. Tu mi credi innamorato di Clorinda, ma t’inganni. A innamorarsi senza innamorare non c’è nessun gusto: ora tu devi sapere quanto è difficile innamorare una donna che calca il teatro anche per la prima volta. Per due soli mesi poi sarebbe fatica gettata, non essendo di quelle con cui è bene spesa anche per una sola notte. L’avremo qui di nuovo nel Carnevale futuro. Ma tu abbi miglior con- cetto e della mia fedeltà, e del mio sangue freddo: persuaditi che alla prima non voglio mancare che in apparenza. Per finire quest’insulso proposito ti dirò che l’articolo mandato da Conti trovò posto nel Cor-