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prio. Pare che questi fottuti romani che si son fatti e palazzi e strade e chiese e piazze sulla misura delle abitazioni de’ giganti, vogliano anche farsi i divertimenti a proporzione, cioè gigante- schi, quasi che la natura umana, per coglionesca che sia, possa reggere e sia capace di maggior divertimento che fino a un certo segno. Non ti parlerò dello spettacolo del corso, che veramente è bello e degno d’esser veduto (intendo il corso di carnevale); nè dell’impressione che m’ha prodotto il ballo veduto colla lor- gnette. Ti dico in genere che una donna nè col canto nè con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo: il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana. Tu hai veduto di questi balli da festino, ma non hanno che far niente nè anche con quelli degli ultimi ballerini d’una pezza da teatro. Il waltz che questi talora eseguiscono, passa per un’ine- zia e una riempitura. In somma credimi che se tu vedessi una di queste ballerine in azione, ho tanto concetto dei tuoi propo- siti anterotici, che ti darei per cotto al primo momento. E prima e dopo della tua lettera ho lasciato sfuggire non poche di quelle inavvertenze e imprudenze che tu mi perdoni. Per servirti ho anche raccontato in tavola le prodezze della bella. La cattiva5 era molto attenta, come suole. Non credere ch’ella abbia molte distrazioni: almeno per me le distrazioni ch’ella ha sarebbero molto poco. Sta’ poi sicuro che non ti fabbrica diademi, per- ch’ella è veramente del sistema de’ miei ospiti: uscire, vedere e tornare a casa: vita porca, della quale vorrebbero a parte anche me; s’io fossi uno stivale più largo e più lungo dell’italia. Tor- nati a casa con più noia di quando sono usciti, se ne vendicano collo strapazzarsi a vicenda, e con cento bellissime allegrie che sono una consolazione a trovarcisi presente, come mi tocca: ma ci ho fatto l’osso più duro d’un marmo. Giordani, il quale mi scrive, dopo un anno e più di silenzio, con grandissimo entu- siasmo, mi domanda con infinita premura di te e di Paolina e vi saluta. Ti saluto anch’io e t’abbraccio di cuore. Non mi dir più che m’abbia cura, perchè son guarito e sano come un pesce in grazia dell’aver fatto a modo mio, cioè non aver usato un