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a’ miei ospiti. Caro Carlo, puoi ben credere s’io t’amo, e quale mi debba comparire per se stesso il pensiero d’allontanarmi da te. Ma questo è forse un sogno, e io so bene che tu vorresti che avesse un qualche corpo. Ti dico in verità che quando anche 10 l’avessi già conseguito, non proverei alcun senso d’allegrezza: ma quantunque io sia già incapace affatto di godere, e incapace per sempre; Roma mi ha fatto almeno questo vantaggio di per- fezionare la mia insensibilità sopra me stesso, e di farmi riguar- dare la mia vita intera, il mio bene, il mio male, come vita, bene, male altrui. Ti ringrazio soprattutto de’ ragguagli che mi dai di te stesso, al che vedi che io corrispondo con usura. Vorrei che non ti stancassi, e non ti annoiassi di seguitare. Ma quanto più vorrei, non dico saperti felice o contento, chè questi son sogni per noi; ma trovarmi teco, ed essere partecipe di tutto 11 tuo, e tu di tutto il mio, come siamo pure stati per tutta la vita finora. E certo che lo saremo finche avremo fiato, se tu non dubiti di me. Ma questo è il più raro nella nostra amicizia; che l’uno di noi non dubita che l’altro possa mai dubitare di lui. Ti bacio.

505. A Monaldo Leopardi.
[Roma 24 del 1823]

Carissimo Signor Padre Ricevo la sua graziosissima dei 20. Come scrissi già coll’or- dinario passato, i miei geloni, grazie a Dio ed alla mia pazienza, son guariti. Ieri tornai ad uscire per la prima volta dopo 13 giorni. Oggi piove, come ha fatto per tutta quanta la settimana pas- sata, e se dura così, il Carnevale vorrà esser magro, e si dovranno mangiare in casa i confetti ch’Ella così gentilmente mi regala. Farò valere la pagella nel miglior modo possibile. Del Cav. Marini, dopo la morte di sua moglie, corse qui in Roma quella voce di cui Ella mi domanda. Ma egli se ne ride, e in vece della prelatura, è verisimile che prenda un’altra moglie. D. Luigi San-