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tare di non aver saputo le mie nuove da me, anche le più minime. Avrei voluto farlo subito, e vorrei farlo adesso, ma coirordinario passato non lo feci per la ragione che ti ho detto, e oggi non lo fo perchè sono ancora in letto molto incomodamente, e non posso scrivere senza grande stento e lontano dalla luce. Credo che domani sarò in piedi, e mi lusingo d’esser guarito già, dopo sei giorni di pazienza. Da ora in poi non ci sarà camminatore più disperato di me. Sicuramente coll’ordinario venturo ti scriverò una letterona. Intanto io ti desidero le migliori medicine che sieno possibili alla noia. Il tuo sonetto pecca un poco d’oscuro, non in se, ma per Recanati. Del resto è molto bello e affettuoso, e mi ridesta l’idea dell’animo tuo, e del sentimento, e della poesia, e del bello vero, tutte cose che bisogna dimenticare affatto in Roma, in questo letamaio di letteratura di opinioni e di costumi (o piuttosto d’usanze, perchè i Romani, e forse nè anche gl’ita- liani, non hanno costumi). Come riceve anche il caso obbliquo: come me, come te ec. Onde come lei è ben detto. Avvampare attivo è ottimo. Disperare per trarre di speranza, se gli antichi non l’hanno detto, non hanno però lasciato per testamento, che non si possa dire. Saluti a tutti. Ho ricevuto anche la lettera di Paolina e risponderò.

502. Di Monaldo Leopardi.
Recanati 20. Genn.° 1823.

Mio Caro Figlio. Fio ricevuto la cara vra 13., e 15. corr.° e come mi duole il sen- tirvi tuttora incomodato dai Geloni, così mi piace l’apprendere che vanno alquanto migliorando. Seppi dopo che l’Unguento di Malva era conosciuto costì, ma poco male averlo spedito e valerà sempre a togliervi l’incomodo di farlo ricercare alla spezierìa. Della traduz.e di Platone scrissi quanto mi suggerì il mio affetto per voi, e l’idea che della impresa mi offrì la Lett." vra. Ora ne giu- dico alquanto diversam.', e rimossa un’obbligaz.0 che vi costringesse di troppo, siete in libertà di decidervi. Vedendo Mons.r Nembrini salutatelo e ringraziatelo d[ell]a memo-