so che diavolo mi dire, non sento più me stesso, e son fatto in
tutto e per tutto una statua. Fa leggere questa lettera al Signor
Padre, al quale io non so quello che mi scrivessi da Spoleto:
perchè dovete sapere che io scrissi in tavola fra una canaglia
di Fabrianesi, lesini ec. i quali s’erano informati dal Cameriere
dell’esser mio, e già conoscevano il mio nome e qualità di poeta
ec. ec. E un birbante di prete furbissimo ch’era con loro, si pro-
pose di dar la burla anche a me, come la dava a tutti gli altri:
ma credetemi che alla prima mia risposta, cambiò tuono tutto
d’un salto, e la sua compagnia divenne bonissima e gentilissima
come tante pecore.
Senti, Carlo mio, se potessi esser con te, crederei di potere
anche vivere, riprenderei un poco di lena e di coraggio, spere-
rei qualche cosa, e avrei qualche ora di consolazione. In verità
10 non ho compagnia nessuna: ho perduto me stesso; e gli altri
che mi circondano non potranno farmi compagnia in eterno.
Scrivimi distesamente e ragguagliami a parte a parte dello stato
dell’animo tuo, intorno al quale ho molti dubbi che mi straziano.
Amami, per Dio. Ho bisogno d’amore, amore, amore, fuoco,
entusiasmo, vita: il mondo non mi par fatto per me: ho trovato
11 diavolo più brutto assai di quello che si dipinge. Le donne
romane alte e basse fanno propriamente stomaco; gli uomini
fanno rabbia e misericordia. Ma tu scrivimi, e amami; e par-
lami assai assai, di te e degli altri miei. Bacia per me la mano
al Signor Padre e alla Mamma, a’ quali scriverò quest’altro ordi-
nario, se ancora saprò scrivere. Salutami Paolina e Luigi e D.
Vincenzo. In tutti i modi faremo animo: e l’assuefazione sot-
tentrerà e rimedierà ogni cosa. Addio, caro ex carne mea. Addio.
459. |
Di Monaldo Leopardi. |
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Recanati, 25 Novembre 1822. |
Mio caro Figlio, Dopo oramai venticinque anni di non interrotta
convivenza, duecento miglia circa corrono ora fra voi e me. Se il mio
cuore non applaude a questo allontanamento, la mia ragione non lo