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siero. Addio caro: oh se potessi prima di chiuder gli occhi udire una qualche lieta nuova del mio Giacomino! Io ho perduto la sanità e la mente, e tutto quello che è vita, non potendo resistere a tanta e sì lunga guerra di dolore de’ mali altrui, che non mi ha lasciato pensare a’ miei proprii. Almeno avessi qualche conforto in qualche bene d’al- cuno de’ più cari e degni. Giacomino mio: dimmi qual è l’opera che ti occupa: dimmi che fanno Paolina e Carlino: ripetimi, quel che già so, e per ciò più mi giova l’udirlo, che mi ami quanto io amo te. Addio senza fine, con tutta l’anima: addio.

409. A Pietro Giordani.
Recanati 13 Luglio 1821.

La tua lettera fece il solito ed aspettato effetto, di addolo- rarmi. Così non era un tempo, quando io non aveva maggior consolazione che le tue lettere. Dio volesse che il dolore degli amici ti ridondasse in qualche vantaggio. Ma tu disperi della sa- lute, e io non credo che tu lo debba fare. Io per lunghissimo tem- po ho dovuto dolermi di avere un cervello dentro al cranio, perchè non poteva pensare di qualunque menomo nulla, nè per quanto breve spazio si voglia, senza contrazione e dolore de’ nervi. Ma come non si vive se non pensando, così mi doleva che dovendo pur essere, non fossi pianta o sasso o qualunque altra cosa non ha compagno dell’esistenza il pensiero. Taccio poi degli occhi, i quali m’avevano ridotto alla natura de’ gufi, odiando e fuggendo il giorno. E tuttavia questi mali, benché non sieno dileguati, pur si vanno scemando. Il che spero anche de’ tuoi, e per quanto hai caro l’affetto ch’io ti porto, vorrei che tu lo sperassi come fo io che poco avanti disperava come tu fai. La mia Paolina questo Gennaio sarà sposa in una città del- l’Urbinate, non grande, non bella, ma con persona comoda, libe- rissima ed umana.1 Carlo sta benissimo di salute, e d’animo disinvolto e preparato ad ambedue le fortune, anzi pure a man- car dell’una e dell’altra, che è forse la peggior condizione degli uomini, o certo de’ giovani.