Sorella, e di nuovo rallegratevi seco del suo prossimo collocamento.'
Gradite li saluti di mia Figlia e mio Marito. Ora ho un pensiere di
più cioè il Figlio Camillo che ho ripreso dal luogo della sua educazione
per timore degl’assassini, Dio voglia che possa collocarlo altrove affine
di non fargli perdere ciò che ha guadagnato. Addio. Amatemi e cre-
detemi spre la vra Zia Affettuosa
Melchiorri.
Recanati 18. Giugno 1821. |
Odo che tu sei costì, e sperando che il corso delle poste verso
Milano debba essere più diligente che verso Piacenza, rompo
quel silenzio che la nostra amicizia ha tenuto sì lungo tempo.
Ebbi la lettera che scrivesti in mio favore, e la risposta.1 Del-
l’una e dell’altra ti rendo quelle grazie ch’io posso, cioè som-
mamente minori della obbligazione ch’io ti porto nell’animo,
riconoscendoti per quell’uomo stupendo e incredibile, più sol-
lecito del bene o del male altrui, che non del proprio. Dammi
nuove di te, sebbene io tremo nel domandartene, temendo ch’elle
abbiano ad essere le consuete e dolorose. Ma dimmi, non potresti
tu di Eraclito convertirti in Democrito?2 La qual cosa va pure
accadendo a me che la stimava impossibilissima. Vero è che la
Disperazione si finge sorridente. Ma il riso intorno agli uomini
ed alle mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando,
quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore,
ma piuttosto dalla noncuranza, ch’è l’ultimo rifugio degl’infe-
lici soggiogati dalla necessità collo spogliarli non del coraggio
di combatterla, ma dell’ultima speranza di poterla vincere, cioè
la speranza della morte. La mia salute non è btiona ma compe-
tente, e tale che in quanto a lei non dovrei disperare di vivere
a qualch’effetto. Vo lentamente leggendo, studiando e scrivac-
chiando. Tutto il resto del tempo lo spendo in pensare, e ridere
meco stesso. Iio per le mani il disegno e la materia di una che
vorrei chiamare operetta, ma questa materia mi cresce tutto-