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371. Di Leonardo Trissino.
Vicenza 12 del 1821.

Stimatissimo Signore. Lasciamo pure passare un gran pezzo senza scrivere al Signor Conte Giacomo, per non seccarlo. E lasciamo pas- sare e feste e capi d’anni per allontanare qualunque sospetto di ceri- monia. Ma il desiderio delle notizie della salute di V. S. è sempre arden- tissimo. Dunque con animo il più rispettoso, e affezionato io la prego di questa grazia. E perchè la lettera non ha maggiore oggetto che di ricordarmi alla memoria sua, desiderando a V. S. ogni felicità ch’è qui permessa, mi confermo pieno d’amore e di ossequio

Suo Servitore vero ed amico
L. Trissino
372. Di Ferdinanda Melchiorri.
Roma 17. Gennajo 1821.

Caro Nepote. La vra Lettera1 caro Giacomo mi ha posta molto di mal umore per la disposizione dell’animo vro in rapporto a voi stesso. Per quanto siano grandi le nre afflizioni, noi non dobbiamo ricusare di sostenerle, allor- ché [sic] il liberarcene non ci sia possibile, potiamo porre bensì in opera i mezzi opportuni a renderle meno gravi, ma non mai abbandonarci alla disperazione, risorsa non degli Uomini ma delle Bestie. L’Uomo virtuoso e Cristiano si ricorda di esser soggetto al suo dio, e però Bacia la mano che lo percuote, si ricorda che ha nel suo Dio un Padre che veglia sopra di lui, che lo ama che non lo abbandonerà, quindi apre a lui il suo cuore gli chiede con ispirito di sommissione ciò che gli è necessario, e poi attende dal med.° la diminuzione de’ suoi mali, è da vile il non saper soffrire, non siamo già al Mondo per godere, e voi avete troppo talento per non conoscere di ciò la verità, ed esserne per- suaso. A monte dque questi pensieri che troppo essendo tetri deni- grano l’Uomo e il Cristiano, ricordatevi di esser savio e che abbiamo da render conto a Dio de’ nri talenti.