Recanati 8 dicembre 1820. |
Mio carissimo
Ricevo la graditissima vostra 29 novembre. Che dirò delle
vostre sventure, se non che mi attristano almeno al pari di voi?
Ben vi prego con tutto il cuore a farvi coraggio; e considerare
che le calamità sono la sola cosa che vi convenga, essendo vir-
tuoso: tanto che se io non sapessi delle vostre disgrazie, me le
immaginerei spontaneamente, sapendo che voi siete un degno
e stimabile uomo. Chi sa che una volta non possiamo conver-
sare insieme, e consolarci, se non altro colla compagnia delle
sventure, e il contraccambio della compassione?
Della dedica vi ringrazio cordialmente, e dal canto mio vi
prego quanto posso, a proseguire la vostra bella impresa; se anche
non si potesse ristampare il Panegirico, siccome è opera abbastan-
za voluminosa, e può far corpo da se medesima, così non vorrei
che per ciò desisteste dal vostro disegno. Ricevei la lettera di
Giordani 5 novembre, e gli risposi il 20. Fate ch’ei lo sappia,
se mi volete bene. Scrivendo al conte Trissino, favoritemi di
riverirlo da mia parte, e dirgli ch’io gli scrissi il 13 e il 23 d’otto-
bre, ma non so se le poste abbiano risparmiate quelle lettere.
Della traduzione latina della mia Canzone, crederete facil-
mente che la notizia che voi me ne date, è la prima che ne sento.
Ne farete, quanto a me, quello che vi piacerà; giacché non si
tratta di una traduzione dalla quale si debba giudicare dell’ori-
ginale, non essendo fatta in una lingua viva, nè per quelli che
non intendono l’italiano.
Io vi abbraccio con l’animo; e vi accerto che non mi dimen-
tico di voi, nè mi dimenticherò finch’io viva.
Il vostro Leopardi