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365. A Pietro Brighenti.
Recanati 8 dicembre 1820.

Mio carissimo Ricevo la graditissima vostra 29 novembre. Che dirò delle vostre sventure, se non che mi attristano almeno al pari di voi? Ben vi prego con tutto il cuore a farvi coraggio; e considerare che le calamità sono la sola cosa che vi convenga, essendo vir- tuoso: tanto che se io non sapessi delle vostre disgrazie, me le immaginerei spontaneamente, sapendo che voi siete un degno e stimabile uomo. Chi sa che una volta non possiamo conver- sare insieme, e consolarci, se non altro colla compagnia delle sventure, e il contraccambio della compassione? Della dedica vi ringrazio cordialmente, e dal canto mio vi prego quanto posso, a proseguire la vostra bella impresa; se anche non si potesse ristampare il Panegirico, siccome è opera abbastan- za voluminosa, e può far corpo da se medesima, così non vorrei che per ciò desisteste dal vostro disegno. Ricevei la lettera di Giordani 5 novembre, e gli risposi il 20. Fate ch’ei lo sappia, se mi volete bene. Scrivendo al conte Trissino, favoritemi di riverirlo da mia parte, e dirgli ch’io gli scrissi il 13 e il 23 d’otto- bre, ma non so se le poste abbiano risparmiate quelle lettere. Della traduzione latina della mia Canzone, crederete facil- mente che la notizia che voi me ne date, è la prima che ne sento. Ne farete, quanto a me, quello che vi piacerà; giacché non si tratta di una traduzione dalla quale si debba giudicare dell’ori- ginale, non essendo fatta in una lingua viva, nè per quelli che non intendono l’italiano. Io vi abbraccio con l’animo; e vi accerto che non mi dimen- tico di voi, nè mi dimenticherò finch’io viva. Il vostro Leopardi