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renderli di pubblico diritto. Da alcun tempo posseggo alcune copie de’ suoi versi inviatemi da Bologna, che poscia agli amici miei donai; ed essi con meco presi furono da maraviglia, che i rigidi Censori Bolo gnesi ne avessero permessa la pubblicazione.2 So ch’altra sua Canzone doveasi stampare, e che non avvenne per volontà del Genitor suo: mi giova sperare che non tarderà molto a vedersi andar attorno in com- pagnia delle due sorelle. La benevolenza, ch’Ella mi dimostra, mi onora e mi è cara; e non so in qual modo dimostrarle la mia gratitudine, e il desiderio che ho di conoscerla di persona. Ardisco inviarle pochi versi, che pubblicai nell’agosto alle nozze del Fratello del eh. mio amico e concittadino Cav.c Eduardo Fabbri, cui piacque intitolarmi la sua prima Tragedia «l'Ifigenia in Aulide»,' che non so s’Ella abbia veduto e che ad ogni suo cenno potrò man- darle. In tanta angustia di stagione e di tempo (chè in soli otto giorni fu conchiuso in Milano il maritaggio sud.0) non mi fu concesso offeri- re all’amico cosa più degna: e pensai, facendo clono di quella Conocchia di Teocrito4 alla Sposa novella, darle senza parlare un buon insegna- mento, e farle considerare, che alla buona femmina si conviene l’assiduo lavoro e la cura delle cose domestiche. Ella s’abbia adunque que’ pochi versi come attestato della stima che le professo, e della mia fiducia che sieno da Lei cortesemente accolti, guardando al buon volere soltanto. Ella stia sano; e mi creda sinceramente

Suo Devmo Servid.re ed amico.
Gian-Ant ° Roverella

di Cesena questo dì 12. Novem.e 1820.

354. Di Giovan Battista Niccolini.
[Firenze 15 ybre 1820.]

Ch.mo Sig.re Mi era toccato in sorte di leggere la sua nobilissima Canzone prima che dalle sue mani inviatomi grato me ne giungesse il dono. Io posso accertarla che quanti hanno qua avuto sott’occhio il Suo poetico Lavoro vi hanno ammirato la robustezza dello stile che ben risponde alla dignità, e altezza delle idee. Ella richiama la Poesia al suo vero ufficio che si è quello d’ispirare sentimenti generosi: ed io non posso che