pere, con tuttociò mi duole ch’ella sia muta e inoperosa per sì
grande intervallo. Desidero nuove della salute e dell’animo tuo.
Di me non ti dirò altro se non che la consuetudine mi fa di giorno
in giorno più mansueto e paziente delle disgrazie. Questi mesi
ultimi ho potuto adoperare la mente di quando in quando, e
scritto molte cose, ma tutte informi, e non altro che materia
da porre in opera non so quando. O che la fatica mi ha pregiu-
dicato, se bene è stata moderatissima, o per qualunque altra
cagione, sento che la mia povera testa ricade nella debolezza
passata. La mia de’ 4 di Settembre, colla quale risposi all’ul-
tima tua de’ 23 agosto, sarà smarrita. Amami e scrivimi. Ti amo
quanto mai facessi o potessi fare. Addio addio.
342. |
A Leonardo Trissino. |
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Quasi appena ho risposto alla sua leggiadrissima de’ 6 di Set-
tembre favoritami questi giorni passati dal March. Ricci, mi
giunge l’altra dei 29. V. S. seguita a dimostrare splendidamente
la benignità dell’animo suo in tutto quello che mi scrive. Quanto
alla salute, V. S. si persuada che la natura e la fortuna cospira-
rono a danno mio quando nacqui. La natura mi diede poco
valore; la fortuna m’ha impedito sempre e sempre m’impedirà
ch’io non possa mettere in opera neanche questo poco.
Io non so quali scritti miei possano ingelosire un Ippolito
Pindemonte. Stimo che avrà voluto intendere la traduzione del-
l’Odissea, della quale diedi fuori il primo Canto quattro anni
fa, quand’io non conosceva altro della poesia che il nome. La
qual traduzione l’ho tralasciata e dimenticata fin da quel tempo.
Io non ho mai veduto nessuna parte dell’Odissea del Pinde-
monte.1 Non so neppure se l’abbia tradotta e pubblicata tutta,
o solamente quel saggio che stampò alcuni anni prima del mio.
So ben questo, che la sua traduzione si potrebbe paragonare
alla mia così bene come una gemma a un ciottolo.