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325. Di Pietro Brighenti.
Bologna 20. agosto 1820.

Mio egregio Signore, e Amico. In questa mattina ho ricevuto la vra gratissima del 14. corr.e, e su- bito ho scritto all’amico giordani, comunicandogli il paragrafo della d. ' vra che lo riguarda, e che serve di risposta alla proposizione della cat- tedra. Io mi consolo molto, che voi possiate aver mezzo di venire da queste nostre parti, e che una cattedra non vi verrebbe scontradetta. In questo caso, perchè caro Amico, non fate che il signor vro Padre, (il quale mi pare che debba essere degli accettissimi al governo) si adopri onde procurarvi La cattedra di eloquenza in Bologna, che è ora coperta da un’asino [sic] di altissima sfera, disprezzato dai Sapienti, e messo in ridicolo con ogni sorta di impertinenze, dagli Scolari? E vi dico di più in confidenza, che mesi sono era stato interpellato se l’avesse voluta un Letterato mio amico, il quale non ha creduto di accettarla, perchè non si è voluto indossare quella fatica, ma del resto il Governo stesso era disposto a conferirgliela, vergognandosi di quel Grilli che ora la tiene, e al quale sarà dato un’altro [sic] posto. La Città è buonissima, e quando sapeste disprezzare le ciance di uno di quelli (che ora non nomino)1 a cui spediste la Canzone, e che sebbene d’ingegno, e di abilità, è poi un matto inquietissimo, Voi del resto non avreste chi non vi portasse in palma di mano. Tutto ciò sia detto fra noi in amici- zia, e per desiderio che io avrei e di vedervi contento, e di vedervi a me vicino. Sì, caro amico, accettai, e con piacere la Licenza di scrivervi con la Libertà, e le parole degli amici. Vi accerto però che io per questo non mi allontanerò mai dal rispetto, che vi debbo, e non solo perchè siete un Conte, ma perchè siete un angelo di bontà, e di perfezioni. Ma anche coi nobili io tengo un metodo, che sembrerà forse contrad- ditorio, e che vi giuro non è. Io disprezzo, e odio la nobiltà, come uno dei più perniciosi flagelli dei nostri paesi: non lascio mai occa- sione alcuna di rivoltarmi contro la nobiltà, come mai so e posso: e nel tempo istesso non è possibile che io manchi avvertitamente ad alcuna delle urbanità che i cittadini professano ai nobili, quando si ha l’incontro di trattarli. Nè in ciò vi è viltà, o falsità, o corbellatura. La Società accorda ai nobili delle distinzioni, e però io credo che turbi