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303. Di Pietro Giordani.
Piacenza 25. maggio [1820]

Tardi rispondo, mio infelicissimo e amatissimo Giacomino alla tua 24. aprile; sola che io abbia ricevuta, dopo quella del 20. marzo, alla quale risposi il 18. aprile. Mi disanima e mi addolora questa maledi- zione del perdersi anco le lettere; unico e miserabil conforto della nostra sventurata amicizia. Ma quando anche tutte le lettere si smarrissero, e sprofondasse tutta la terra che s’interpone tra te e me; e fosse tolta ogni strada a ravvicinare le nostre persone, e far passare i nostri pen- sieri; non devi creder mai che io possa cessare di amarti sommamente. Certo non crederò mai di esser solo ad amarti; poiché non son solo a conoscerti: ma ben credo che niuno ti ami, più che io, nè altrettanto. Come può passarti per mente, nè anco in sogno, che io ti debba disa- mare perchè sei tanto infelice? se anzi questa è fortissima cagione che io con più affetto, anzi spasimo, ti ami? Oh così potesse giovarti a qualche cosa l’immenso amor mio: ma nulla a te giova, e me tormenta: e appunto perciò sarò anche più osti- nato e più ardente in amarti. Veramente tutta questa vita è un cru- dele e orrendo e abominevol mistero. Quel mio discorso sulle poesie di Montrone1 è cosa giovenile ed immatura: però non fu degno che mai te ne parlassi. Io da tre mesi son caduto, quando meno l’aspettavo, in quella malattia di nervi, che mi sorprese l’anno passato in maggio; e mi tenne tre mesi assai infermo; e per altri cinque incapace d’ogni studio. Così anche ora sono inetto alla più piccola e breve applicazione: e spesso ancora travagliato nel corpo ed afflitto, da questo male inesplicabile, a cui non si trova rime- dio. Figurati come vivo, privato di quel solo conforto che avrei di munirmi con qualche miglior pensiero ad allontanare almeno per poco tanti pensieri dolorosi. Caro Giacomino dammi di tue nuove; delle quali vedi che io manco da un mese: e quelle ultime furono pur sì dolorose. Oh mio povero giacomino, tanto bravo, e tanto infelice: come il cuor mi manca a tanti tuoi guai! io non posso altro che amarti, e pianger di te! Salutami infini- tamente Carlino e Paolina. Anche Brighenti (sfortunatissimo anch’egli) da un pezzo non mi dice nulla di te. Oh dio, ostiniamoci a scrivere; se pur una qualche lettera può scampare alla disavventura. Addio caro: ti abbraccio con amore e dolore ineffabile. Addio senza fine: addio.