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la prego e supplico a rispondere ch’io ho intieramente rinun- ziato al pensiero di pubblicare quelle canzoni, e che l’ho signi- ficato a V. S. nel modo più preciso. Quando poi egli le riman- dasse senza variazione, o quando senza averle vedute, le scrivesse di farle stampare, ella farà quello che le piacerà, essendo io in questo caso del tutto indifferente. Quelli che presero in sinistro la mia Canzone sul Dante,2 fecero male, secondo me, perchè le dico espressamente ch’io non la scrissi per dispiacere a queste tali persone, ma parte per amor del puro e semplice vero, e odio delle vane parzialità e preven- zioni; parte perchè non potendo nominar quelli3 che queste persone avrebbero voluto, io metteva in iscena altri attori come per pretesto e figura. Pel mio Giordani io mi getterei nelle fiamme, ma sono così spaventato della inutilità delle azioni ch’è stata la mia condanna da quando nacqui, che appena mi resta forza di tornargli a scri- vere. Ma lo farò certamente, se bene indarno, e non cederò in questa parte alla mia disgrazia. Quanto mi consola l’amabile offerta della sua amicizia, tanto mi rattrista il racconto delle sue sventure. In somma in questo mondo basta essere immeritevole del male per abbondarne. Io sono inutile anche a me stesso, ma se la mia sorte mi conce- desse di poterla mai o giovare o confortare in alcun modo, Ella può esser certa ch’io ne ringrazierei la fortuna di cuore, e me ne prevarrei con quanta lena mi rimanesse. V.S. mi ami e si assicuri della mia corrispondenza, e mi scusi del disturbo che le avrò recato con questo affare. Andrà anche questo a cader nel nulla con tutte le cose mie, e con me stesso.

Suo Dmo Sfe ed Amico
Giacomo Leopardi