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10 come sarò sempre quello che mi piacerà, così voglio parere a tutti quello che sono; e di non esser costretto a fare altrimenti, sono sicuro per lo stesso motivo a un di presso, per cui Catone era sicuro in Utica della sua libertà.1 Ma io ho la fortuna di parere un coglione a tutti quelli che mi trattano giornalmente, e credono ch’io del mondo e degli uomini non conosca altro che il colore, e non sappia quello che fo, ma mi lasci condurre dalle persone ch’essi dicono, senza capire dove mi menano. Per- ciò stimano di dovermi illuminare e sorvegliare. E quanto alla illuminazione, li ringrazio cordialmente; quanto alla sorveglianza, 11 posso accertare che cavano acqua col crivello. Circa le mie canzoni, io le metto nel gran fascio di tutti i miei detti o fatti o scritti dalla mia nascita in poi, che il mio esecrando destino ha improntato di perpetua inutilità. Io ho rinunziato a tutti i piaceri de’ giovani. Dai dieci ai 21 anni io mi sono ristretto meco stesso a meditare e scrivere e studiare i libri e le cose. Non solamente non ho mai chiesto un’ora di sollievo, ma gli stessi studi miei non ho domandato nè ottenuto mai che avessero altro aiuto che la mia pazienza e il mio pro- prio travaglio. Il frutto delle mie fatiche è l’esser disprezzato in maniera straordinaria alla mia condizione, massimamente in un piccolo paese. Dopo che tutti mi hanno abbandonato, anche la salute ha preso piacere di seguirli. In 21 anni, avendo comin- ciato a pensare e soffrire da fanciullo, ho compito il corso delle disgrazie di una lunga vita, e sono moralmente vecchio, anzi decrepito, perche fino il sentimento e l’entusiasmo ch’era il com- pagno e l’alimento della mia vita, è dileguato per me in un modo che mi raccapriccia. E tempo di morire. E tempo di cedere alla fortuna; la più orrenda cosa che possa fare il giovane, ordina- riamente pieno di belle speranze, ma il solo piacere che rimanga a chi dopo lunghi sforzi, finalmente s’accorga d’esser nato colla sacra e indelebile maledizione del destino. Io la prego al possibile di non mandare il ms. a mio padre. Se già l’avesse mandato, ed egli lo rimandasse per farlo stam- pare con qualunque benché minima alterazione, io con quanta autorità posso avere sopra gli scritti che pur mi paiono miei,