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272. Ad Angelo Mai.
Recanati 10 Gennaio 1820

Signor mio pregiatissimo Dopo la sua venuta in Roma1 ho desiderato più volte di significarle com’io fossi contento d’averla ora più vicina che p[er] l’addietro, e rinnovarle la memoria di questo suo buono ammi- ratore e servo. Ma il timore d’importunarla, e distorla da migliori occupazioni me n’ha sempre dissuaso. Finalmente il grido delle nuove maraviglie che V. S. sta operando2 non mi lascia più for- za di contenermi, nè mentre tutta l’Europa sta p[er] celebrare la sua preziosa scoperta, mi basta il cuore d’essere degli ultimi a rallegrarmene seco lei, e dimostrare la gioia che ne sento, non solo in comune con tutti gli studiosi, ma anche in particolare per la stima e rispettosa affezione che professo singolarmente a V.S. Ella è proprio un miracolo di mille cose, d’ingegno di gusto di dottrina di diligenza di studio infatigabile, di fortuna tutta nuova ed unica. In somma V. S. ci fa tornare ai tempi dei Petrarca e dei Poggi, quando ogni giorno era illustrato da una nuova scoperta classica, e la maraviglia e la gioia de’ letterati non trovava riposo. Ma ora in tanta luce d’erudizione e di cri- tica, in tanta copia di biblioteche, in tanta folla di filologi, V. S. sola, in codici esposti da più secoli alle ricerche di qualunque studioso, in librerie frequentate da ogni sorta di dotti, scoprir tesori che si piangeano p[er] ismarriti senza riparo sin dal primo rinascimento delle lettere, e il cui ritrovamento non ha avuto mai luogo neppure nelle più vane e passeggere speranze de’ let- terati, è un prodigio che vince tutte le maraviglie del trecento e del quattrocento. E gran tempo ch’io avea preparato con grande amore e stu- dio i materiali d’alcune lettere’ p[er] dimostrare in maniera se non bella nè buona, almeno mia propria, le vere ed intime uti- lità e pregi delle sue scoperte, con una quantità di osservazioni