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afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo, dov’io sperava e sognava la felicità, e sperando e sognando la godeva, ed è passato, nè tor- nerà mai più, certo mai più; vedendo con eccessivo terrore che insieme colla fanciullezza è finito il mondo e la vita p[er] me e p[er] tutti quelli che pensano e sentono; sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita. Mio caro amico, sola persona ch’io veda in questo formi- dabile deserto del mondo, io già sento d’esser morto, e quan- tunque mi sia sempre stimato buono a qualche cosa non ordi- naria, non ho mai creduto che la fortuna mi avrebbe lasciato esser nulla. Sicché non ti affannare p[er] me, che dove manca la speranza non resta più luogo all’inquietudine, ma piuttosto amami tranquillamente come non destinato a veruna cosa, anzi certo d’esser già vissuto. Ed io ti amerò con tutto quel calore che avanza a quest’anima assiderata e abbrividita. Carlo e Pao- lina ti salutano di cuore. Addio.

269. Di Ferdinanda Melchiorri.
Roma 18. Xmbfe 1819.

Caro il mio Giacomo. Non voglio che così presto venga il nfo carteggio trascurato, troppo mi è caro il trattenermi con voi qualche tempo per privarmi di qto piacere, tanto più poi che voi med.° me ne avete dato impulso collo scrivermi1 senza sapere che io il facessi contemporaneamente e assi- curarmi che vi rallegrerebbero le mie risposte. Voglio perciò rispon- dere a tutti gli articoli della Cara vfa lettera quale ho più volte riletta, e ho trovata analoga al vfo carattere ed a quel giudizio che meco stessa avevo di voi formato. Mi consola pertanto l’idea di poter essere io una di quelle poche persone colle quali il mio caro Giacomo potrà aprire il suo cuore, perchè non tanto dissimile troverà da’ suoi sentimenti il cuor della Zia, essa non ha studiato ma ha sortito dalla natura una sensibilità che anziché indebolire cogli anni sembra acquistar da essi maggior fondamento. Voi non avete sbagliato affatto allorché [sic] avete