nelle minuzie. E quando l’Arici arrivasse anche a darci un altro
Tasso, non bastava quello che avevamo? Anche Giusto de’ Conti
ci diede quasi un altro Petrarca, e il Sannazzaro un altro Virgi-
lio, ma tutti si contentano di quel Petrarca e di quel Virgilio
che c’era prima. In Italia è morta anche la facoltà d’inventare
e d’immaginare che pareva e pare tuttavia così propria della
nostra nazione. Seguita ad amarmi e a ricordarti del tuo buono
amico. Addio.
Credeva che la facoltà di amare come quella di odiare fosse
spenta nell’animo mio. Ora mi accorgo per la tua lettera ch’ella
ancor vive ed opera. Bisogna pure che il mondo sia qualche cosa,
e ch’io non sia del tutto morto, poiché mi sento infervorato d’af-
fetto verso cotesto bel cuore. Dimmi, dove troverò uno che ti
somigli? dimmi, dove troverò un altro ch’io possa amare a par
di te? O cara anima, o sola infandos miserata labores1 di que-
sto sventurato, credi forse ch’io sia commosso della pietà che
mi dimostri perch’ella è rivolta sopra di me? Or io ne son tocco,
perchè non vedo altra vita che le lagrime e la pietà, e se qual-
che volta io mi trovo alquanto più confortato, allora ho forza
di piangere, e piango perchè sono più lieto, e piango la miseria
degli uomini e la nullità delle cose. Era un tempo che la malva-
gità umana e le sciagure della virtù mi movevano a sdegno, e
il mio dolore nasceva dalla considerazione della scelleraggine.
Ma ora io piango l’infelicità degli schiavi e de’ tiranni, degli
oppressi e degli oppressori, de’ buoni e de’ cattivi, e nella mia
tristezza non è più scintilla d’ira, e questa vita non mi par più
degna d’esser contesa. E molto meno ho forza di conservar mal
animo contro gli sciocchi e gl’ignoranti, coi quali anzi proccuro
di confondermi; e perchè l’andamento e le usanze e gli avveni-
menti e i luoghi di questa mia vita sono ancora infantili, io tengo