Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/450

quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente di grande: forse anche non riconosce altra grandezza che quella che si misura coi calcoli, e colle norme geometriche. Ma quanto a ciò molti sono d’altra opinione; quanto a noi, siccome il dispe- rare di se stessi non può altro che nuocere, così non mi sono mai creduto fatto per vivere e morire come i miei antenati. Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risolu- zione, resta ch’io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa medesima e con quello ch’io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, e non potendo sperar più nulla da Lei, per l’espressione ch’Ella si è lasciato a bella posta più volte uscire disinvoltamente di bocca in questo pro- posito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pen- sando di far dispiacere a Lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione. Alle quali io son grato sino all’estremo del- l’anima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio che abborro quasi sopra tutti, cioè l’ingratitudine. La sola dif- ferenza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a morir qui di dispe- razione, o a questo passo ch’io fo, è stata cagione della mia disav- ventura. È piaciuto al cielo per nostro gastigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che Recana- tesi, toccassero a Lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi. Quello che mi consola è il pensare che questa è l’ultima mole- stia ch’io le reco, e che serve a liberarla dal continuo fastidio della mia presenza, e dai tanti altri disturbi che la mia persona le ha recati, e molto più le recherebbe per l’avvenire. Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m’inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per