sodano, io vo scemando ogni giorno di vigore, e le facoltà cor-
porali mi abbandonano a una a una. Questo mi consola, perchè
in’ha fatto disperare di me stesso, e conoscere che la mia vita
non valendo più nulla, posso gittarla, come farò in breve," per-
chè non potendo vivere se non in questa condizione e con que-
sta salute, non voglio vivere, e potendo vivere altrimenti, biso-
gna tentare. E il tentare così com’io posso, cioè disperatamente
e alla cieca, non mi costa più niente, ora che le antiche illusioni
sul mio valore, e sulle speranze della vita futura, e sul bene ch’io
potea fare, e le imprese da togliere, e la gloria da conseguire,
mi sono sparite dagli occhi, e non mi stimo più nulla, e mi cono-
sco assai da meno di tanti miei cittadini, ch’io disprezzava così
profondamente.
Ma quello che mi turba è il sentirti ancora travagliato della
salute. Già non ti posso raccomandare che t’abbi rispetto più di
quello ch’io facessi nell’ultima e in quella che s’è perduta. Voglia
Dio che tutti i mali vengano sopra di me già fatto inutile a tutti,
e perdonino al solo uomo ch’io conosca. Seguita ad amarmi, e
accetta i saluti di Carlo e di Paolina che non ti scordano mai
riè ti scorderanno. Se scrivi al Trissino, e parli al Mai, salutali
da mia parte. Il Porzio di cui mi scrivi nella tua lettera, come
anche il Nardi e il Compagni restano ancora intatti, perch’io non
posso leggere nè scrivere nè comporre una pagina senza dolore.
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Di Saverio Broglio d’Ajano. |
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Mio gentiliss.0 Prone ed Amico
Padrone, pel diritto che avete sempre e che vi prego ad esercitare
di comandarmi ove a nulla valessi mai. Amico, pel diritto acquisito
e non mai interrotto che ho io ed hanno avuto i miei maggiori fin da
quattro ed anzi cinque generazioni Leopardi all’amicizia di ogni indi-
viduo della vostra famiglia. Padrone quindi ed Amico, perdonerete
la familiarità con cui vi scrivo.